Trattamenti chimici per tessili tecnici antifiamma

  1. Gigli1, G. Freddi2, G. Rosace3

1 Associazione Italiana di Chimica Tessile e Coloristica

2 INNOVHUB – Stazioni Sperimentali per l’Industria, Divisione Stazione Sperimentale per la Seta

3 Università degli Studi di Bergamo

 

Fin dall’antichità e nel corso dei secoli, la storia delle fibre tessili è strettamente legata a quella dell’uomo ed all’evoluzione della società. In quest’ottica, negli ultimi decenni, l’impiego dei manufatti tessili si è sempre più allontanato dai campi convenzionali, essenzialmente legati all’abbigliamento, per rivolgersi a settori in cui l’aspetto estetico e stilistico è invece trascurabile. I materiali tessili, dedicati a tali settori, sono usualmente classificati come  “tessili tecnici” e rappresentano un comparto estremamente innovativo, molto specializzato, con enormi potenzialità di sviluppo. Tessili non più intesi solo come abiti legati alla moda, alla stagionalità oppure come status symbol, bensì nuovi materiali, estremamete flessibili, in grado di conferire confort e di proteggere, ma anche capaci di rilasciare medicinali, integratori o sostanze cosmetiche. Con particolare attenzione al settore della sicurezza, l’ampio coinvolgimento dei substrati tessili (sia come abbigliamento da lavoro che come rivestimenti) rende indispensabile la valutazione del loro comportamento al fuoco. Rimandando ad altra sede l’esame delle norme che regolano, in Italia e negli altri paesi europei, la complessa materia, scopo principale della presente trattazione è quello di approfondire la conoscenza del meccanismo di combustione e di verificare i trattamenti necessari per conferire proprietà flame retardant ad un tessuto. Per questo motivo il lavoro è suddiviso in due parti: nella prima si presentano i principi legati alla combustione dei substrati tessili; in una seconda parte, che sarà pubblicata su questa stessa rivista, si presenteranno i meccanismi di azione dei composti ritardanti di fiamma, in funzione della natura chimica dei materiali tessili trattati.

IL PROCESSO DI COMBUSTIONE

Tutti i materiali organici e alcuni inorganici, persino l’acciaio, trovandosi in determinate condizioni bruciano o fondono. La forma macroscopica di un fenomeno di combustione, “l’incendio”, è la più semplice da descrivere. Un incendio subisce nel tempo una evoluzione caratterizzabile con parametri quali l’innalzamento della temperatura o lo sviluppo di calore o la produzione di fumi. Nella prima fase dell’incendio c’è l’innesco del materiale combustibile da parte di una sorgente di ignizione. Dopo un primo stadio lento del processo si arriva al punto in cui il calore radiante liberato e l’aumento della temperatura sono così elevati da provocare la decomposizione di tutti i materiali presenti con notevole sviluppo di miscele di gas infiammabili. L’ignizione di questi gas provoca un aumento della velocità di propagazione del processo tale che le fiamme si propagano molto rapidamente in tutta l’area circostante con addirittura fenomeni di esplosioni. Si è raggiunto il punto di flash-over, cioè l’incendio diventa generalizzato. Nella fase successiva, durante la quale l’incendio è in pieno sviluppo, il processo si autoalimenta e la temperatura raggiunge un plateau. La terza ed ultima fase corrisponde allo spegnimento dell’incendio, ed è caratterizzata da un processo più o meno lento in funzione delle dimensioni dell’incendio e delle condizioni di ventilazione degli ambienti. L’infiammabilità dei materiali polimerici ne limita l’applicazione in numerosi settori di impiego in cui il rischio di incendio (probabilità che l’incendio si verifichi) o la sua pericolosità (conseguenze che esso può avere) sono di qualche rilievo quali i trasporti, l’edilizia, il settore elettrico ed elettronico, ecc. Il termine “infiammabilità” nel caso dei polimeri non ha un significato scientifico preciso perché non è misurabile mediante un singolo parametro come avviene ad esempio nel caso dei gas in cui si usano a questo scopo i limiti di infiammabilità. Il comportamento dei polimeri alla combustione dipende infatti sia da fattori intrinsechi quali la loro composizione chimica, la struttura morfologica, sia da fattori esterni quali forma e dimensioni del manufatto, velocità dell’aria, flusso di calore al quale il materiale è esposto, ecc. I materiali polimerici organici sintetici e naturali possono iniziare o propagare gli incendi perché, per effetto del calore, essi si decompongono con la formazione di composti volatili combustibili.

La combustione è un processo esotermico (genera calore verso l’esterno) che, per il suo svolgimento, necessita della contestuale presenza di tre componenti: combustibile, ossigeno ed energia. Per fare in modo che la combustione si inneschi sono invece necessari due requisiti:

1) stechiometrico: le quantità di combustibile e di comburente devono essere presenti in un giusto rapporto;

2) energetico: deve essere fornita al sistema l’energia sufficiente per superare l’energia di attivazione del processo di combustione. Questa energia può essere data fornendo calore fino ad una certa temperatura detta di autoaccensione, oppure per riscaldamento di una parte della miscela al di sopra della temperatura di autoaccensione tramite una sorgente di innesco esterna costituita da una fiamma o da un arco elettrico.

Quando la combustione avviene senza controllo, il processo  si catalizza e continua fino a che uno dei tre elementi fondamentali si è estinto (ossigeno, calore o materiale combustibile). Il processo che coinvolge combustibile, ossigeno ed energia è molto complesso e le componenti sono influenzate in modo significativo  da parametri esterni (ventilazione, flusso di calore, temperatura), tanto che è praticamente impossibile descrivere quantitativamente un incendio o fare serie previsioni sul suo sviluppo. In generale si può affermare che:

•   l’energia può essere trasferita al combustibile attraverso irraggiamento, scintilla o fiamma. L’intensità e la durata della sorgente di ignizione, la distanza della sorgente dal materiale combustibile sono di importanza fondamentale per la propagazione di un incendio;

•   l’ossigeno è necessario per far avvenire le reazioni chimiche di ossidazione del combustibile e deve essere presente in quantità sufficiente nell’ambiente dove si sviluppa il fuoco;

•   il combustibile influenza il modo di sviluppo della combustione in funzione delle sue caratteristiche:

  1. a)  intrinseche, quali la struttura chimica, la morfologia e le proprietà chimico-fisiche (ignizione e punto di incendio, conduttività termica, calore di combustione, calore specifico, ecc.);
  2. b)  estrinseche, quali le caratteristiche della superficie, la geometria e le dimensioni del substrato.

Il processo di combustione può essere suddiviso a sua volta in:

  1. combustione incandescente (glowing);
  2. combustione con bagliore residuo (afterglow);
  3. combustione senza fiamma (smouldering).

Nel processo di combustione incandescente si osserva una rapida combustione dei residui carboniosi accompagnata da un fenomeno di incandescenza visibile. La combustione con bagliore residuo, invece, è un particolare tipo di combustione incandescente dove il combustibile non è altro che il residuo carbonioso formatosi durante o dopo la combustione con fiamma. L’ultimo tipo di combustione, quella senza fiamma, è leggermente differente dalle precedenti in quanto è un processo di combustione primario nel quale la formazione del residuo carbonioso e la sua ossidazione si realizzano a circa 500-530°C in due fasi successive, connesse l’una all’altra. Il sodio, il potassio, il calcio, il magnesio e molti altri metalli di transizione come in particolare il manganese ed il ferro sono conosciuti per essere  acceleratori dei processi  glowing e smouldering. Gli ossidi metallici catalizzano l’ossidazione del carbonio cosicché la temperatura di accensione risulta essere più bassa provocando un processo di combustione più rapido. L’ossidazione del carbonio è mostrata nella reazione sottostante:

C(s) + 1/2 O2(g)  →  CO (g)        ΔH= – 110,45 kJ mol-1

C(s) +    O2(g)     →  CO2(g)       ΔH= – 394,95 kJ mol-1

Come è possibile vedere la prima reazione implica la produzione di 110.45 kJ mol-1 mentre la seconda di 349.45 kJ mol-1; il rilascio addizionale di 284.5 kJ mol-1 che si osserva nella seconda reazione contribuisce a promuovere l’auto mantenimento della combustione incandescente.

Nella prima reazione l’energia liberata è considerevolmente bassa e insufficiente per provocare l’ossidazione del carbonio. Una volta che la sorgente di ignizione è rimossa, i processi glowing e smouldering accelerano la formazione di CO e inibiscono la formazione di CO2 direttamente dal carbonio o, in altri casi, dall’ossidazione di CO a CO2:

CO(g) + 1/2 O2(g)  →  CO2 (g)    ΔH= – 284,5 kJ mol-1

Una caratteristica che distingue una combustione senza fiamma da una incandescente è che la prima può procedere anche in un materiale che non ha subito la trasformazione a residuo carbonioso. Quella incandescente invece è spesso osservata nei materiali che presentano alti rapporti tra peso e superficie, come per esempio tessuti di cotone, carta, segatura e così via.

I materiali polimerici organici sintetici e naturali possono iniziare o propagare gli incendi perché, per effetto del calore, essi si decompongono con la formazione di composti volatili combustibili. Alla luce di quanto detto, è possibile rappresentare il processo di combustione dei polimeri come da schema in Figura 1.

Figura 1: Rappresentazione schematica del processo di combustione dei polimeri

 

La combustione inizia quando i prodotti volatili generati dal calore fornito al polimero dalla sorgente d’innesco, mescolandosi con l’aria, raggiungono, in concentrazione, l’intervallo dei limiti d’infiammabilità e superano, in temperatura, quella d’accensione. La combustione procede poi fino a consumare completamente il materiale se il calore trasmesso dalla fiamma al polimero è sufficiente a mantenere la sua velocità di degradazione termica al di sopra del valore minimo richiesto per l’alimentazione della fiamma stessa. In caso contrario, la fiamma si spegne poco dopo l’accensione. Nei casi in cui il calore fornito dalla sorgente d’innesco si esaurisca oppure sia trascurabile rispetto a quello trasmesso al polimero nel ciclo di combustione, questo diventa un processo autoalimentato se i requisiti termici necessari per sostenerlo sono soddisfatti dal calore svolto dalle reazioni di termoossidazione che avvengono nella fase gas nella fiamma o nella fase condensata nel materiale. L’estensione della fiamma è legata al calore di combustione del polimero: più alto è tale calore, maggiore sarà la quantità di calore liberato dalla fiamma per sostenere il ciclo di combustione (Figura 2)

Figura 2: Diffusione della fiamma durante la combustione

 

La combustione è il risultato di quattro stadi di reazioni:

Fase di riscaldamento

Una fonte di accensione esterna fa aumentare la temperatura del materiale ad un livello dipendente dall’intensità termica della fonte di accensione e dalle proprietà termiche del materiale, come la conducibilità termica, il calore specifico, il calore latente di fusione e di vaporizzazione. La temperatura del materiale aumenta finché si raggiunge la sua temperatura di decomposizione. Questa temperatura varia – secondo i polimeri – da 180 a 500°C e oltre (Tabella 1).

Fase di decomposizione (pirolisi)

Una volta che il materiale è stato scaldato sufficientemente, le sue proprietà originali cominciano ad alterarsi e i legami più deboli si rompono. Prodotti combustibili gassosi possono formarsi con un tasso dipendente da fattori come l’intensità di calore esterno, la temperatura richiesta per la decomposizione iniziale e la velocità di decomposizione. Il polimero si decompone in prodotti volatili a basso peso molecolare: essendo costituiti da catene di atomi di carbonio i prodotti di decomposizione sono prevalentemente costituiti da idrocarburi leggeri e da composti ossigenati del carbonio (tutti facilmente combustibili). In molti casi la decomposizione dei polimeri produce anche un residuo solido carbonioso; questo viene considerato un fatto positivo in quanto il residuo solido ritarda il contatto tra l’aria e i prodotti gassosi di decomposizione e rallenta la trasmissione del calore alla massa del polimero

Fase di accensione

La concentrazione di gas infiammabili aumenta fino a raggiungere un livello oltre il quale la reazione di ossidazione può essere alimentata in presenza di una fonte di accensione. I parametri sono: il tipo di fonte di accensione (fiamma, scintilla o radiazione termica), le caratteristiche di autoaccensione del gas e la disponibilità di ossigeno. In presenza di sufficiente ossigeno e se la temperatura di una zona (anche ristretta) del materiale supera il punto di infiammabilità dei gas sviluppati durante la decomposizione si ha quindi la formazione localizzata di una fiamma. La capacità di autosostentamento dipende soprattutto dalla velocità di uscita dalla superficie dei gas di pirolisi che accelerano i fenomeni di decomposizione. Per ogni materiale esiste poi una temperatura di autoaccensione, che é quella temperatura alla quale i prodotti di decomposizione reagiscono spontaneamente con l’ossigeno atmosferico, provocando una reazione di ossidazione rapida caratterizzata dallo sviluppo di calore e dalla presenza di una elevata quantità di radicali liberi.

Fase di combustione e propagazione

Dopo l’accensione e la rimozione della fonte che l’ha generata, la combustione diverrà autopropagante se viene generato e ritrasferito al materiale calore sufficiente in modo tale che possano continuare i processi di decomposizione. Alcune varianti sono: il tasso di calore prodotto, la posizione della fiamma rispetto alla superficie, il tasso di calore ritrasferito alla superficie e il tasso di decomposizione. E’ quindi evidente che quando i polimeri vengono riscaldati al di sopra di certi valori di temperatura, dipendenti dalla loro struttura chimica, subiscono dei processi di degradazione termica che provocano la formazione di prodotti gassosi combustibili (prodotti primari di decomposizione) che sono i primi responsabili dell’infiammabilità dei materiali stessi. In altre parole se il calore di combustione è così alto da superare la quantità di calore dissipata all’esterno, la temperatura della massa in fase di combustione tenderà a crescere e farà salire anche la temperatura dei materiali adiacenti al primo focolaio di incendio; quando questa temperatura supera la temperatura di autoaccensione, l’incendio si propaga. Se la temperatura di autoaccensione è superata nello stesso momento da una massa considerevole di materiale, la propagazione avviene in modo istantaneo dando luogo al cosiddetto “flashover”.

 

Tabella 1: Temperature iniziali di decomposizione, di infiammabilità e di autoaccensione dei più comuni polimeri e di alcuni materiali naturali.

Materiali Temperatura (°C)
  inizio decomposizione infiammabilità autoaccensione
Cotone 210 230 250
Lana 200 200 /
Legno di pino   230 260
Poliammide (PA6) 300 420 450
Polietilene 340 340 350
Polipropilene 320 320 350
Polistirene 300 350 490
PVC 200 390 450
Teflon 500 530 560

 

Nel caso delle molecole organiche costituenti le fibre tessili, esse possono essere classificate come fusibili o infusibili: nel primo caso (fibre sintetiche in genere) si ha, anche solo localmente, fusione, evaporazione e reazione di combustione. Nel secondo caso (fibre naturali o artificiali) il materiale ricevendo energia nella fase di innesco non può fondere, ma si riscalda localmente fino a che l’energia ricevuta non è sufficiente a provocare la rottura di un certo numero di legami covalenti con distruzione della struttura (decomposizione termica o pirolisi) e formazione di prodotti volatili e residui carboniosi (Figura 3).

 

Figura 3: Ciclo di combustione delle fibre tessili

 

La maggior parte delle reazioni di combustione si svolge in fase gassosa, anche se il combustibile è solido o liquido in quanto, in questi due ultimi casi si verificano evaporazioni o reazioni di decomposizione con produzione di gas facilmente infiammabili. Nei confronti del calore la fibra, ad esempio il cotone, rimane inalterata fino ai 100-150°C, comincia ad ingiallire ed inizia a decomporsi per la degradazione della molecola di cellulosa tra 130 e 150°C, per decomporsi velocemente oltre i 200°C. Successivamente, la temperatura della fibra aumenta il suo valore fino a quando raggiunge la temperatura di pirolisi (Tp). A questa temperatura il polimero è sottoposto ad un processo chimico irreversibile di decomposione in prodotti volatili a basso peso molecolare. Raggiunta la temperatura di combustione Tc i gas infiammabili prodotti si combinano con l’ossigeno e, con la presenza di calore, innescano tale processo, con liberazioni di gruppi radicali in grado di farla progredire. Queste reazioni sono altamente esotermiche e producono molto calore e luce (fiamma). Il calore generato dal processo di combustione fornisce energia termica necessaria per far continuare la pirolisi della fibra tessile; in tal modo si producono ulteriori gas infiammabili necessari al proseguimento della reazione. Il comportamento della fibra tessile alla combustione è determinato dalla velocità/quantità di calore rilasciata e dalla quantità di calore fornita.

Schematicamente è possibile rilevare:

1)      un periodo d’innesco: il materiale è a contatto con una sorgente di energia (fiamma diretta, mozzicone di sigaretta, resistenza elettrica incandescente, etc.) e si riscalda localmente (processo endotermico);

2)      sviluppo di gas o prodotti volatili idrocarburici a basso peso molecolare: risultato della depolimerizzazione; il residuo solido, perdendo i prodotti volatili, si arricchisce di carbonio (e zolfo se presente) (processo endotermico);

3)      combustione dei gas, in presenza di ossigeno con formazione di fiamma luminosa (processo esotermico). Anche il residuo carbonioso solido o catramoso liquido che si è contemporaneamente formato brucia senza fiamma, ma con un fenomeno luminoso di incandescenza;

4)      generazione del calore necessario alla propagazione della combustione, propagazione della fiamma fino all’esaurimento del combustibile.

Conseguentemente, durante il processo di combustione, un tessuto appare coinvolto in maniera differenziata e sulla sua superficie si possono notare:

  1. a)      aree in cui il substrato è ancora intatto;
  2. b)      zone sottoposte al calore emanato dalla combustione e che quindi iniziano a decomporsi e carbonizzare;
  3. c)      un’area nella quale si avvia la combustione dei gas sviluppati;
  4. d)     una zona costituita dalle materie carboniose incandescenti ma prive di fiamma;
  5. e)      residui della combustione, senza effetti di incandescenza.

 

In generale i meccanismi che entrano in gioco durante la combustione, anche nei casi più semplici, risultano talmente complessi da rendere impossibile l’esistenza di una sola teoria. Infatti, nel caso di combustione di materiali solidi bisogna tener conto oltre che delle reazioni eterogenee alla interfaccia gas-solido, anche delle diffusioni fisiche di reagenti e prodotti, nonché del bilancio termico. Comunque le reazioni sono di tipo radicalico, con formazione e reazione di specie instabili:

  1. H. +   O2 â†” HO.   + O.
  2. O. +   H2 ↔ HO.   + H.
  3. HO. +  CO â†” CO2 + H.

 

Come si può vedere, man mano che la reazione procede, si formano sempre più radicali con meccanismo di propagazione a catena. Mentre lo stadio di prima formazione di radicali è necessariamente endotermico (innesco), le successive stabilizzazioni e propagazioni sono complessivamente esotermiche; in particolare danno luogo a reazioni esotermiche i radicali H• e OH•.

COMPORTAMENTO AL FUOCO DELLE PRINCIPALI FIBRE

I materiali fibrosi possono essere di natura inorganica, quindi non infiammabili, e di natura organica, come cotone, lana, fibre artificiali e sintetiche, che possono, invece, infiammarsi. In realtà, non tutti questi composti bruciano allo stesso modo, a causa delle loro caratteristiche chimiche (composizione), strutturali (orientamento) e morfologiche (forma e dimensioni). Da queste proprietà si determina la facilità di infiammabilità, la generazione di fiamma ed il diverso comportamento alla combustione ed il calore che può essere rilasciato. Importante è il rapporto esistente tra la massa e la superficie del materiale: tanto più è basso, tanto più facilmente e velocemente brucerà il materiale. Inoltre un tessuto pesante brucerà più lentamente di uno leggero, anche se realizzati con lo stesso materiale; infine, un tessuto battuto e liscio sarà meno soggetto a prendere fuoco rispetto ad uno particolarmente peloso. La “reazione al fuoco” di un materiale tessile ha, quindi, principalmente la funzione di valutare il grado di partecipazione all’incendio di un substrato al quale, a seguito di prove, viene attribuita una Classe di Reazione al Fuoco. Per i materiali quali moquettes, tende, parquet, ecc. le classi variano da 1 a 5 (all’aumentare del grado di partecipazione all’incendio) mentre i materiali incombustibili sono contraddistinti dalla classe “0”. E’ comunque chiaro che la classe di Reazione al Fuoco non è relativa al prodotto tal quale, ma è riferita al suo impiego e alla sua posa in opera. Ad esempio un tessuto può avere diversa “Classe” se impiegato come tendaggio o come rivestimento a parete ovvero se viene posto in opera semplicemente appoggiato o, invece, incollato su supporto incombustibile. In tabella 2 sono riportati i rischi nei confronti della combustione dei substrati tessili destinati all’arredamento.

Tabella 2: Possibili fonti di rischio incedio nelle varie applicazioni di tessuti per arredamento.

Tende e materiali sospesi È l’applicazione più critica perché:

• il calore sale verso l’alto

• esposta all’aria da ambo i lati

• soggetta a trasportare le fiamme

• diffusa in tutti gli ambienti

Mobili imbottiti e materassi Impiego molto critico (particolarmente per “bedding”), perché l’incendio è innescabile dalle fonti più banali.
Rivestimenti murali Criticità dipendente da modalità di posa. Infatti:

• per tessuti tesi la pericolosità è simile a quella dei tendaggi;

• per tessuti incollati su supporti non combustibili la pericolosità è minore.

Pavimentazioni È l’applicazione meno critica perché:

• posizione orizzontale

• incollata a supporti non combustibili;

• in pratica non propaga l’incendio;

• brucia lentamente, agevolando lo spegnimento.

 

Un altro parametro da tenere in considerazione riguardo la capacità di ignizione delle fibre è la termoplasticità; infatti, i tessuti realizzati con fibre sintetiche termoplastiche, come ad esempio il poliestere, tendono a fondersi e a ritirarsi con piccole fiammelle, risultando più difficilmente infiammabili se posti in prossimità di fonti di ignizione. Al contrario, le fibre non termoplastiche ed alcune miste non fondono e quindi manifestano maggiore attitudine ad infiammarsi nelle stesse condizioni citate per il primo caso. Per quanto riguarda l’influenza della composizione chimica delle fibre sul loro comportamento alla fiamma, maggiore è la presenza di carbonio ed idrogeno, maggiore sarà la quantità di calore rilasciata dal materiale bruciando. Desiderando prevedere il comportamento di un materiale polimerico in un incendio si trovano ulteriori difficoltà dovute alla intrinseca scarsa riproducibilità tipica dell’incendio. Questi fatti hanno portato allo sviluppo di metodi per la valutazione dei polimeri in relazione al pericolo di incendio, in cui si misurano più parametri ritenuti rilevanti quali: facilità di accensione, velocità di propagazione della fiamma e di rilascio del calore, formazione di fumi tossici e oscuranti, ecc. Le condizioni di misura sono rigidamente definite allo scopo di fornire una classificazione relativa del comportamento dei materiali al fuoco. I metodi di prova su larga scala permettono di riprodurre condizioni simili a quelle degli incendi reali, ma sono costosi e richiedono impianti speciali. Per queste ragioni essi sono di solito usati per provare materiali già selezionati sulla base di prove a scala di laboratorio. Questi ultimi sono particolarmente utili per la ricerca e sviluppo di nuovi materiali perché richiedono piccole quantità di prodotti, ma la valutazione viene effettuata in condizioni molto lontane da quelle reali dell’incendio. Fortunatamente, l’esperienza ha dimostrato che l’evoluzione dei metodi su piccola scala permette di ottenere un ragionevole accordo con i risultati ottenuti con i metodi su scala reale. Questo è particolarmente importante perché le normative sul pericolo di incendio dei materiali polimerici sono forzatamente basate su metodi di laboratorio che sono anche largamente impiegati per definire le loro specifiche tecniche a scopo commerciale.

I materiali fibrosi possono essere di natura inorganica, quindi non combustibili (amianto, vetro, ceramici), od organica (cotone, lane, fibre artificiali o sintetiche): la loro combustibilità, in prima approssimazione, è misurata in termini di quantità minima di ossigeno necessaria ad una fibra per bruciare. In questo senso l’indice di ossigeno (Oxygen Index, O.I. o Limiting Oxygen Index, L.O.I.) è la concentrazione percentuale minima di ossigeno, in volume, alla quale si ha combustione autoalimentata per 3 minuti in seguito ad accensione della punta del provino con una fiamma libera che viene poi allontanata. Un materiale con O.I. > 21, che è il contenuto di ossigeno dell’aria, anche se innescato non dovrebbe dare combustione autoalimentata. Tuttavia, per prudenza dettata dalle differenze esistenti tra le condizioni della prova e quelle dell’incendio, si attribuisce, a titolo indicativo, la caratteristica di materiale ritardato alla fiamma a materiali con O.I. > 25. In tabella 3 sono riportati il comportamento al fuoco ed i valori di O.I. per i principali polimeri ad uso tessile.

 

Tabella 3: Comportamento al fuoco e valori di indice di ossigeno (L.O.I.)

per i principali polimeri ad uso tessile

Comportamento al fuoco Materiale L.O.I. (%)
Fibre che si innescano facilmente Polipropilene

Acrilico

Cotone

Poliammide

Poliestere

18

19

20

22

22

Fibre con effetto fiamma ritardante Lana

Polipropilene FR

Viscosa FR

Cotone FR

Poliestere FR

Lana FR

Modacrilico

25

27

28

28

29

31

31-34

Fibre resistenti al calore

 

Aramidiche

Poliammidiche-immide

Poliacrilato-reticolato

Polibenzen-imidazolo

Acrilici preossidati

29-34

30-32

45

48

50

 

Il primo gruppo comprende fibre sia naturali che man made, di facile infiammabilità, caratterizzate da un indice L.O.I. intorno a 18 (cotone, acrilico, polipropilene, fibre cellulosiche). Altre fibre sintetiche hanno un L.O.I. intorno a 22 (poliammide, poliestere), e garantiscono un comportamento accettabile solamente nelle applicazioni meno critiche (pavimentazione, rivestimenti murali, ecc.). In questo gruppo la lana è l’unica fibra che, con un valore intorno a 25, si può quasi definire una flame retardant naturale. Esistono poi le fibre man-made, caratterizzate da valori L.O.I. compresi tra 28 e 31, che presentano un comportamento flame retardant. Sono quelle che hanno avuto la maggiore diffusione per la produzione di manufatti tessili, destinati agli utilizzi più diversi, in tutti i settori a rischio sottoposti alle specifiche normative sulla prevenzione incendi. Queste fibre, come la modacrilica, e altre contraddistinte dalla sigla FR grazie alla loro struttura molecolare ottenuta durante il processo di polimerizzazione, hanno il vantaggio di conferire ai tessuti proprietà ignifughe permanenti, esplicando un’azione di ritardo o di inibizione della fiamma. Con queste fibre modificate sono realizzati i tessili antifiamma più diffusi e sviluppati sul mercato perché, a proprietà di reazione al fuoco adeguate, uniscono costi, doti di processabilità e qualità tessili ed estetiche adatte alla maggior parte delle esigenze espresse dal mercato. Un livello ancora superiore di L.O.I. (da oltre 30 a 50) caratterizza un terzo gruppo di fibre, quelle definite “resistenti al calore”, quali le fibre di carbonio, le meta e para aramidiche e altre costituite da polimeri a nuclei aromatici o ciclici condensati. I prodotti tessili con esse realizzati, nella combustione, tendono a carbonizzare e non emettono gas infiammabili. Sono le materie prime per manufatti tecnici di costo elevato, che richiedono particolari accorgimenti per la produzione e la trasformazione: di conseguenza il loro impiego, per altro in significativa crescita, è riservato a settori specifici, che sono disposti a pagare il prezzo di prestazioni superiori, frutto dell’alta tecnologia delle fibre man-made.

I valori di indice di ossigeno possono essere valutati, per sviluppare ipotesi e comprendere i probabili effetti nell’impiego dei substrati tessili, per articoli che necessitino di una qualche protezione alla fiamma. Tuttavia non sono sufficienti per comprendere totalmente il comportamento alla combustione dei polimeri durante le cui fasi, come già detto, intervengono numerosi parametri. Per le più comuni fibre tessili sono riportati, in Tabella 4, alcune indicazioni di interesse circa i rispettivi punti di fusione e le temperature di accensione.

 

Tabella 4: valori d’interesse per la combustione delle fibre.

FIBRA INDICE L.O.I.

(%)

PUNTO DI FUSIONE

(°C)

TEMP. DI ACCENSIONE (°C) TEMP. DI AUTO ACCENSIONE (°C)
Acrilica 19 220-255 > 250 460-550
Cotone 20 / 340-360 400-430
Lana 25 / 570-600 500-600
Nylon 6 22 215-220 450 450-550
Poliestere 22 250-260 480 450-550
Polipropilene 18 158-168 550 510-570

 

Cotone: è una fibra naturale costituita da cellulosa. Se soggetta a riscaldamento, il substrato cellulosico si riscalda per poi iniziare, sopra i 250°C, il processo di decomposizione (pirolisi) del polimero con conseguente formazione di prodotti gassosi infiammabili. A 300°C inizia la degradazione della cellulosa con formazione di gas e vapori infiammabili che si accendono verso i 350°C. Da questo punto in poi la reazione diventa fortemente esotermica e la combustione prosegue da sola fino a completa calcinazione purché l’apporto di ossigeno sia sufficiente. In Figura 4 sono illustrate graficamente le diverse fasi esposte.

Figura 4: Cinetica di combustione della cellulosa (A= riscaldamento; B= Decomposizione/Pirolisi; C= Ignizione; D= combustione).

Acrilica: Per fibra acrilica si intende una fibra composta di macromolecole lineari che presentano nella catena almeno l’85% in massa di unità acrilonitriliche, cui si aggiungono generalmente percentuali idonee di un comonomero, la cui funzione è quella di impartire alla fibra caratteristiche tessili. Quando il contenuto di acrilonitrile è compreso tra il 35 e l’85%, considerando la % restante costituita da comonomeri ritardanti di fiamma, la fibra è denominata “modacrilica” con caratteristice intrinsecamente flame retardant (L.O.I. = 31-34%). La fibra acrilica si inizia a decomporre oltre i 200°C, provocando il rilascio dei prodotti volatili di pirolisi, fino al raggiungimento della temperatura di ignizione che avvia le fasi finali della combustione, senza fenomeni di fusione.

Aramidiche: si tratta di poliammidi aromatiche con una struttura macromolecolare lineare costituita da anelli aromatici e da gruppi ammidici, l’85% almeno dei quali collegati a due anelli aromatici. Sono ottenuti dalla polimerizzazione di diammine e acidi bicarbossilici, il più comune dei quali è l’acido ftalico. Oltre che per le proprietà ignifughe, sono molto adatte per usi speciali che richiedono una grande resistenza meccanica (sono usate come strutture interne di rinforzo degli aeromobili, nei giubbetti antiproiettili, in indumenti protettivi/antitaglio, ecc…).

Lana: è l’unica fibra naturale che, con un valore %L.O.I. intorno a 25, si può quasi definire flame retardant.

Poliestere e Poliammide: sono fibre con una relativa grande differenza tra il punto di fusione (Poliestere= 255°C; Poliammide= 215-220°C) e la temperatura di ignizione (Poliestere= 480°C; Poliammide= 450°C). Entrambe le fibre tendono a restringersi a contatto con la fiamma. Il materiale fuso può formare delle gocce, andando così a evitare l’ignizione ma creando condizioni estremamente pericolose per l’epidermide. Inoltre, le stesse gocce possono comportarsi come una seconda sorgente di ingnizione, causando un più rapido sviluppo del fuoco. Questa situazione può essere favorita dalla presenza di finissaggi chimici e coloranti che possono influenzare il fenomeno fusione-combustione delle fibre fino a condurre ad una più facile ignizione.

Polipropilene: la natura termoplastica ed un’ampia differenza tra il punto di fusione e la temperatura di ignizione dovrebbero costituire una barriera alla combustione. Tuttavia, il processo di decomposizione termica in presenza di ossigeno comincia ad una temperatura leggermente superiore al punto di fusione e così posiziona il polipropilene fra le fibre più facilmente infiammabili insieme al cotone, all’acetato e all’acrilica.

 

Gli effetti della combustione

Ai fini della sicurezza, gli effetti di una combustione hanno rilevanza sia sui materiali che sull’organismo umano. Gli effetti sui polimeri sono dovuti soprattutto al calore mentre i fattori che maggiormente contribuiscono agli effetti sull’uomo sono:

  1. a) riduzione dell’ossigeno respirabile: per concentrazioni di O2 inferiori al 10% si osservano fenomeni di grave malessere che si aggravano fino a condurre, in pochi minuti, al decesso (O2 < 6%).
  2. b) ustioni da fiamma diretta: uno studio di Hoschke (1981), che prende in considerazione temperatura ed entità del flusso di calore, ha individuato tre aree di rischio (condizione normale, di rischio e di emergenza). In particolare, un’esposizione per 30 s a 180° C può provocare danni all’epidermide, mentre un’esposizione per 15 s a un flusso di calore di 0,1 cal/cm2*s, causa un’ustione di secondo grado.
  3. c) calore radiante: anche se non c’e’ contatto diretto con le fiamme, un ambiente a oltre 65 °C non consente la sopravvivenza; se la temperatura dell’aria supera i 150 °C, la respirazione non è in alcun modo possibile, neppure attraverso filtri.
  4. d) tossicità dei prodotti di combustione: in genere la riduzione dell’ossigeno respirabile o il surriscaldamento dell’ambiente raggiungono valori letali molto prima che la concentrazione di queste sostanze divenga significativa.

Nella trattazione della combustione e dei processi legati agli antifiamma è però bene prestare particolare attenzione anche alla formazione dei fumi. A questo proposito, negli ultimi anni, sono state realizzate parecchie ricerche al fine di valutare i rischi presentati dai fumi di combustione provenienti da materiali infiammabili. Essi sono fonte di intralcio e di impedimento nella localizzazione delle vie di fuga in caso di incendio, poiché spesso sono molto densi e possono impedire la visuale e far perdere l’ orientamento, intrappolando, così, le persone nel luogo dell’ incendio. E’ opportuno notare che i requisiti di scarsa infiammabilità e di bassa produzione di fumo sono in linea di principio antitetici: infatti, poiché il fumo é il risultato di una combustione incompleta, in genere i materiali che non fanno fumo sono quelli che bruciano più facilmente. Viceversa, si riscontra spesso che i materiali più resistenti al calore sono proprio quelli che tendono a emettere più fumo; questo vale anche per le materie plastiche specialmente se contengono anelli aromatici nella loro struttura molecolare.