Le nanotecnologie per i finissaggi tessili e i trattamenti sol gel

La nanotecnologia è una scienza interdisciplinare emergente che, negli ultimi anni, ha avuto una grande diffusione in molti campi: dalle scienze dei materiali, alla fisica, alla biologia, alla medicina, fino all’elettronica e all’aeronautica. Essa rappresenta una vera e propria rivoluzione nel mondo scientifico e industriale grazie alla possibilità che offre di manipolare, misurare e organizzare la materia su scala nanometrica o, in taluni casi, atomica. Nel 1959 il Nobel per la Fisica, Richard Feynman in un suo famoso intervento intitolato “There’s plenty of room at the bottom” avviò vi primi passi nel settore, che in futuro sarebbe stato chiamato delle nanotecnologie, parlando delle grandi possibilità offerte dalla miniaturizzazione e dall’utilizzo di strutture micro-nanometriche. Si sono dovuti attendere parecchi anni prima che, nel 1974, Norio Taniguchi,ì ricercatore dell’Università di Tokio, utilizzasse il termine nanotecnologia in riferimento all’abilità di manipolare la materia a livello nanometrico. Ma soltanto nel 1986 il termine “nanotecnologie” fu coniato ufficialmente da Eric Drexler (Engines of Creation: The Coming Era of Nanotechnology), il quale definì così questa scienza: “[…] una tecnologia a livello molecolare che ci potrà permettere di porre ogni atomo dove vogliamo che esso stia. Chiamiamo questa capacità “nanotecnologie”, perchè funziona sulla scala del nanometro, un miliardesimo di metro”. Attualmente si può affermare che le nanotecnologie costituiscono quell’insieme di approcci sperimentali in grado di sviluppare materiali, oggetti, dispositivi, di dimensioni da uno a cento nanometri. Ciò significa operare a livello molecolare, dato che un nanometro (nm) corrisponde all’incirca a dieci volte la grandezza dell’atomo di idrogeno, mentre un capello ha un diametro di circa ottantamila nanometri. L’espressione nanotecnologia è quindi un termine generale con cui ci si riferisce alle tecniche e agli strumenti che consentono di visualizzare e manipolare gli atomi e le molecole al fine di controllare la struttura fondamentale e il comportamento della materia. In questo modo si ottengono prodotti con caratteristiche grandemente migliorate o del tutto nuove, in quanto le proprietà ed il comportamento non tradizionali della materia a livello nanometrico offrono l’opportunità di studiare ed ottenere strutture e dispositivi che operano e si utilizzano in maniera radicalmente diversa rispetto a quelli con dimensioni macro. Ad esempio, i materiali ceramici sono tipicamente fragili, ma se le dimensioni dei grani di cui essi sono costituiti sono ridotte a valori nanometrici essi divengono facilmente deformabili.
L’aspetto senza dubbio interessante dal punto di vista tecnologico consiste nel fatto che piccole quantità di sostanze nanodimensionate possono conferire ai materiali con cui interagiscono proprietà migliori e innovative. Per questi ed altri motivi, la nanotecnologia è stata negli ultimi anni oggetto di numerose attività di ricerca nei campi più svariati e ha assunto una importanza tale da avere un elevato impatto anche nel mondo sociale. Le nanotecnologie stanno trovando un impiego sempre più diffuso anche nel settore tessile, consentendo di migliorare le prestazioni dei materiali e di creare nuove funzioni nei tessuti. L’attività di ricerca è concentrata su due aspetti tecnici, il primo basato sull’inserimento di particelle nanometriche, nella fase di filatura o come rivestimento, il secondo sull’impiego di prodotti o tecniche specifiche per la realizzazione di nanostrutture costituenti la superficie dei prodotti tessili. Attraverso l’applicazione di queste nuove tecniche è quindi possibile produrre tessuti “multifunzionali”, con proprietà altamente innovative, rivoluzionando in maniera drastica il modo di concepire i materiali tessili.
Nell’ambito dei diversi approcci scientifici utili alla funzionalizzazione delle superfici, la tecnica sol-gel permette di realizzare dei materiali le cui proprietà chimiche, fisiche e meccaniche possono essere modulate a livello molecolare per ottenere prodotti con caratteristiche di composizione, microstruttura e topologia mirate. Ad esempio, per fabbricare il vetro si riscalda secondo le tecniche tradizionali una miscela di polveri fino a fusione, tipicamente tra 1300 e 1500°C in funzione della composizione della miscela. Viceversa, la tecnica sol-gel può ugualmente condurre alla produzione di vetro, ma attraverso una via completamentediversa ed a temperature enormemente inferiori. Infatti, materiali allo stato amorfo vetroso o policristallino sono prodotti attraverso una serie di reazioni di polimerizzazione che avvengono a temperature al di sotto dei 100°C. Il solido poroso che si ottiene alla fine del processo può essere convertito in un materiale denso mediante trattamento termico. È possibile così sintetizzare una vasta gamma di materiali che comprende ossidi, singoli o multicomponente, materiali ceramici quali nitruri e carburi, materiali a base di fluoruri e calcogenuri, nonché materiali compositi.
Inoltre, poiché le reazioni avvengono esattamente nelle stesse condizioni di “chimica dolce” in cui avvengono numerosissime reazioni della chimica organica, la tecnica ha reso possibile lo sviluppo di un intero nuovo ambito di ricerca come quello dei materiali compositi ibridi organico-inorganici.
Da un punto di vista chimico-fisico, il processo sol-gel è una tecnica wet-chemical che permette la produzione, a partire da un idoneo precursore, di una soluzione (sol) che, una volta condensata, forma una matrice di particelle discrete o di polimeri reticolati (gel o network). In particolare, nei trattamenti dei substrati tessili, il processo sol-gel può essere suddiviso in tre fasi:

  1. realizzazione del sol, tramite idrolisi dei precursori;
  2. processo di deposizione del sol sul substrato tessile;
  3. condensazione e reticolazione del film depositato.

Per realizzare la fase “sol”, si utilizzano i precursori che sono generalmente composti metallo-organici. I precursori si differenziano in funzione del metallo presente: attualmente trovano largo utilizzo nelle ricerche nel settore tessile il tetraetile ortosilicato (TEOS: Si(OC2H5)4) e l’isopropossido di titanio (IV) (Ti(OC3H7)4). A seguito di idrolisi questi precursori si trasformano nei relativi idrossidi (Figura 1), molto instabili ad elevate concentrazioni, successivamente utilizzati nella fase

di deposizione sui substrati tessili.La fase di idrolisi può essere condotta sia in condizioni acide che in quelle basiche. Nel primo caso si realizzano film con deboli reticolazioni ma maggiore densità strutturale.

L’idrolisi degli alcossidi in ambiente basico procede invece, a parità di concentrazione, con velocità minore rispetto all’idrolisi acida. In questo caso si verificano generalmente deposizioni altamente reticolate. La deposizione del sol sul substrato può avvenire con sistemi tradizionalmente impiegati nel settore dei finissaggi tessili quali l’impregnazione, il coating o lo spray. Una volta applicato il sol, si procede con un successivo trattamento termico (anche se esistono interessanti ricerche avviate per verificare le possibilità offerte dall’UV curing) al fine di ottenere la condensazione del precursore idrolizzato e la sua reticolazione sul materiale trattato. Prendendo ad esempio i precursori contenenti silicio, in questa fase i gruppi silanolo formatisi nel processo di idrolisi tendono a polimerizzare con formazione di legami Si-O-Si (Figura 2). I meccanismi di
condensazione possibili sono due: attacco con eliminazione di una molecola di alcool nel caso di un monomero parzialmente idrolizzato (dealcolazione), oppure attacco di un gruppo silanolo su un atomo di silicio, con successiva espulsione di una molecola d’acqua (disidratazione). Si può inoltre affermare che i fattori che incrementano la velocità di condensazione riducono il tempo di gelificazione, che risulta quindi influenzato dall’aumento della temperatura, dalla concentrazione dell’alcossido e dal rapporto acqua/alcossido. Il sol depositato e condensato sul substrato può essere modificato al fine di aumentare le funzionalità che si desiderano realizzare. La presenza di componenti organiche permette di allargare lo spettro dei materiali accessibili, di modificare le proprietà meccaniche e morfologiche, di contribuire all’incremento delle proprietà chimiche o fisiche, oppure modificare la reattività chimica o biochimica. Tali modifiche possono avere luogo utilizzando precursori che siano già forniti di funzionalità organiche, oppure addizionando componenti organiche direttamente al sol in modo che esse realizzino legami covalenti con gli ossidi metallici. Sarà così possibile realizzare una reticolazione del tutto inorganica (Figura 3A) oppure un network in cui i gruppi organici siano parte integrante del film depositato (Figura 3B).Grazie alle funzioni organiche ed inorganiche menzionate, i materiali risultanti sono spesso chiamati “polimeri ibridi organici/inorganici” (HOIM: Hybrid organic- inorganic material). In alternativa, le modifiche possono anche essere realizzate tramite additivi incorporati omogeneamente nel network ed immobilizzati senza formare legami covalenti. Gli additivi solitamente utilizzati in questo senso sono molecole ingombranti, quali polimeri, pigmenti, coloranti o enzimi. I materiali ibridi trovano applicazione in un’ampia gamma di sistemi e dispositivi allo stato solido di nuova generazione, con caratteristiche funzionali nano-strutturate, ma anche come rivestimenti protettivi su materie plastiche e, in generale, come rivestimenti funzionali. L’interesse scientifico e tecnologico per questi processi di sintesi è attualmente altissimo a causa delle potenzialità che essi sembrano offrire nella preparazione di nuovi materiali.Numerosi sono gli esempi: rivestimenti porosi antiriflettenti con indici di rifrazione e spessori controllati (ad es. quelli commercializzati dalla Toyota nei pannelli strumentali dei cruscotti delle auto), superfici con proprietà elettrocromiche (ad es. la NTERA Ltd ha sviluppato uno schermo elettrocromico (NanoChromicsTM) utilizzando film solgel nanostrutturati di ossidi semiconduttori, in grado di cambiare colore qualora sottoposto all’azione di un campo elettrico). Per quanto riguarda le applicazioni architettoniche, già da molti anni, l’azienda Schott produce rivestimenti ottici per finestre riflettenti all’esterno, in cui l’assorbimento della luce è controllato mediante inserimento
di Palladio in film di TiO2. Altre applicazioni di film ottenuti mediante tecnica sol-gel sono: i rivestimenti “easy to clean” caratterizzati da energia
superficiale bassissima (fino a 18 mN/m) che conferiscono proprietà super-idrofobiche, rivestimenti di schermi TV contenenti cromofori organici ed infine enzimi immobilizzati in matrici ibride sol-gel, utilizzabili come barriere protettive.
Focalizzando sul tessile le potenzialità offerte dalla tecnologia sol-gel, emerge immediatamente come il processo sia particolarmente adatto ai trattamenti superficiali, soprattutto per il fatto che esso avviene a pressione e temperatura ambiente e che la reticolazione non necessariamente deve essere spinta oltre i 100°C. Interessante è poi l’opportunità di utilizzare i tradizionali macchinari in uso per applicare i prodotti sintetizzati via sol-gel. Tali prodotti, una volta reticolati, conferiscono ai substrati tessili nuove proprietà (specifiche o anche multiple) intervenendo sulle:

  • caratteristiche fisico-meccaniche (stabilità dimensionale, conducibilità ed antistaticità, adesività, idrofilia, …),
  • caratteristiche ottiche (colorazione, luminescenza, …),
  • caratteristiche bioattive (bio-compatibilità, biocatalisi, antibattericità, rilascio controllato di aromi…).

È evidente come questi trattamenti si configurino come ideali nella realizzazione dei cosiddetti “tessili tecnici”, materiali non convenzionali nei quali l’aspetto performante è predominante rispetto quello estetico.
Nell’applicazione dei tessili per impieghi tecnici sono coinvolte numerose discipline non proprie del solo mondo tessile (medicina, ingegneria, biologia, meccanica), spesso difficili e complesse, e spesso lontane.
Diventa quindi estremamente importante poter integrare ed unire settori culturali differenti, ovvero ricercare applicazioni nuove o nuove collaborazioni, e riuscire ad impiegare le conoscenze accumulate in ambiti diversi in quella che può essere definita una “cross fertilization”. In quest’ottica risulta vincente lo sfruttamente degli elementi propri dei substrati tessili, quali la leggerezza e la grande versatilità e complessità delle strutture realizzabili, qualora integrati con le conoscenze proprie di altri contesti (biochimica, medicina, ingegneria,…) e settori applicativi (sensoristica, filtrazione, restauro, materiali compositi,…). I tessili realizzati con queste nuove finalità rappresentano, dunque, una possibile area di sintesi di conoscenze e una nuova frontiera di mercato. Alla luce degli investimenti, pubblici e privati, che si stanno realizzando per ricerca e sviluppo, quello in corso sarà probabilmente il secolo della terza rivoluzione industriale, favorita dall’impiego delle nanotecnologie.
In questo senso l’industria tessile che, confrontata con gli altri settori merceologici, ha potenzialmente la più grande base di clienti al mondo, può giocare un ruolo di grande innovazione. Infatti, lo sviluppo delle ricerche interdisciplinari sta conducendo ad avanzamenti significativi nei processi di nobilitazione, modificando il modo di intendere il manufatto tessile visto sempre più come nuovo materiale in grado di conferire confort, di proteggere, di resistere a sollecitazioni estreme e di essere utilizzato nei settori più diversificati. È quindi prevedibile ed auspicabile che i substrati tessili potranno essere funzionalizzati o combinati con altre tipologie di materiali per soddisfare le richieste più innovative del mercato ed aumentare il valore aggiunto degli articoli prodotti.