Articolo pubblicato su Naturalmente Tessile n. 3/2009.
Nelle discussioni sul tessile “sostenibileâ€, un nuovo modo di progettare e vendere i prodotti tessili, che incontra un crescente successo fra gli addetti ai lavori, chi volesse approfondire la consistenza degli argomenti e delle proposte oggi sul tavolo si scontrerebbe con informazioni e studi ancora piuttosto deludenti, sebbene gli possa toccare in cambio questa immediata esperienza: di trovarsi inaspettatamente al centro, direttamente o indirettamente, di questioni che ormai sono di portata mondiale. Consolazione relativa, poiché, come vedremo, non possiamo dire che le informazioni abbondino e ci consentano una serena valutazione delle posizioni in campo.
Le biotecnologie
Consideriamo il tema delle biotecnologie e, fra queste, il tema delle tecniche di modificazione o manipolazione genetica. Si tratta, come sappiamo, di una fase importante nella storia della biologia, iniziata dalle ricerche di alcune multinazionali americane negli anni 80, che ha in pochi anni sconvolto il panorama mondiale delle produzioni agricole. Parlando di tessile “sostenibile†il tema lo incontriamo subito considerando la fibra naturale per eccellenza: il cotone. Infatti, anche se pochi lo sanno, oggi il cotone “transgenicoâ€, OGM o, come molti lo chiamano, il cotone “biotech†costituisce una delle realizzazioni più note e uno dei maggiori successi delle tecniche di manipolazione genetica.
Ricordiamo brevemente la natura e lo scopo di questa invenzione. Attraverso la “ricombinazione†del DNA del cotone, inserendo (alla Frankenstein, diranno i detrattori) spezzoni di DNA di altra provenienza, si sono create piante che hanno nuove proprietà originariamente non presenti. Due sono i tipi di cotone ottenuti: il primo (cotone HT) ha la capacità di resistere all’azione di un erbicida, il che permette una grande riduzione dei costi della coltivazione e la riduzione del numero dei trattamenti richiesti durante la crescita. Un secondo tipo (il cotone BT) incorpora un gene ricavato da un batterio che produce una tossina efficace contro l’attacco dei principali insetti parassiti. In entrambi i casi – si noti – l’innovazione ha comportato come principale conseguenza ambientale la riduzione dell’impiego di fitofarmaci, i quali costituiscono una delle passività più pesanti di questa coltivazione. Questa rivoluzione “verde†– la seconda dopo quella degli anni 50, legata all’impiego esteso dell’agrochimica e della meccanizzazione in agricoltura – ha segnato in modo indelebile lo sviluppo agricolo di questi anni, anche nel campo cotoniero. L’ “oro biancoâ€, la cui produzione è vitale per tanti paesi del mondo in via di sviluppo, oggi nasce da semi OGM nella maggior parte dei raccolti. Le cifre sono queste, secondo l’ICAC (International Cotton Advisory Commitee, un ente costituito dai paesi maggiori produttori cotonieri del mondo): nell’annata 2008/09 circa la metà della produzione mondiale si stima che sia stata piantata con semi OGM. Tale percentuale sale al 52% per il cotone venduto sul mercato mondiale, e al 90% in paesi quali Australia, Sud Africa e USA[1]. Da dove vengono i semi del cotone biotech? Al monopolio iniziale di Monsanto (USA), oggi si sono affiancate altre case quali la Dow Chemical (USA), la Syngenta (Svizzera), la Bayer (Germania). La Cina stessa ha sviluppato autonomamente una linea di cotone biotech. Il cotone OGM costituisce nel complesso il 12% di tutti i raccolti OGM del mondo, occupando la terza posizione dopo la soia e il mais.
Le reazioni
Nella valutazione di queste tecniche di manipolazione genetica il mondo è diviso profondamente. Esse sono radicalmente condannate ed escluse da qualunque disciplinare relativo ai prodotti “biologici†o “organiciâ€, sebbene consentano di raggiungere attraverso altri mezzi uno dei loro scopi e cioè la riduzione dell’uso dei fitofarmaci. Ciò vale naturalmente anche per i disciplinari dei tessili “organici†o “biologiciâ€. È importante conoscere gli argomenti a favore di questa radicale condanna. Nei mesi scorsi è uscito un testo che li riassume molto bene. Scritto da una giornalista francese ormai famosa, Il mondo secondo Monsanto è un libro appassionato, frutto di anni di ricerche e interviste dell’autrice con alcuni dei protagonisti di questa querelle[2]. Le accuse sono di due tipi: quelle che hanno una base di tipo scientifico e le accuse di tipo “etico-politico†(già il fatto che la questione abbia questa doppia faccia indica l’estrema complessità del problema). I capi di accusa ti tipo “scientifico†riguardano temi critici come l’aumento della resistenza dei parassiti, la sicurezza umana e la biodiversità :
• i cotoni OGM che contengono tossine determinerebbero la selezione naturale di varietà di insetti più resistenti; così come i cotoni che resistono agli erbicidi a loro volta sembrerebbero favorire la proliferazione di specie infestanti resistenti.
• Il rischio di contaminazione, cioè di passaggio fra specie diverse e/o specie simili del DNA modificato delle piante del cotone, non sembra che sia stato a sufficienza valutato e potrebbe mettere a rischio la bio-diversità locale e regionale;
• si potrebbero determinare esiti sconosciuti nella stessa catena alimentare poiché i semi del cotone sono utilizzati nella preparazione di mangimi animali. Sul piano etico-politico i capi di accusa sono ancora più pesanti.
• Che diritto ha l’uomo di modificare il patrimonio genetico di altri organismi?
• Che diritto ha una società privata di brevettare, e quindi di “privatizzareâ€in qualche modo pezzi della natura (dato che i semi OGM sono coperti da una “patente†fatta rigorosamente rispettare dai loro proprietariâ€)?
• Che diritto hanno queste società multinazionali di abusare della loro posizione che, a queste condizioni, diviene assolutamente dominante specialmente in certi paesi o per certe fasce di agricoltori? (Quest’ultima domanda è particolarmente critica: si pensi al fatto che i semi OGM del cotone producono piante sterili e che quindi ogni anno il coltivatore è costretto a tornare ad acquistare nuovi semi a nuovi prezzi dal suo fornitore).
Il dibattito su tutti questi punti è acceso e il fatto che gli argomenti in campo appartengono a sfere diverse aumenta il tasso di superficialità con cui è spesso presentato al pubblico. Poiché a ciascuno di noi sembra doveroso scendere in campo a favore della concorrenza, a favore dei più deboli e del rispetto della natura (accettare cioè le ipotesi colpevoliste in materia etico-politica) è facile poi passare con disinvoltura a una condanna generalizzata, sorvolando sul fondamento delle altre accuse di tipo scientifico.
Questa condanna sembra chiudere la possibilità di costruire un tessile sostenibile con tutto ciò che provenga in campo cotoniero dalle forme moderne dell’agricoltura più sviluppata. Si aggiunga il fatto che le informazioni con cui fare luce sulla questione sono poche e di accesso difficile. Una cappa di sospetto circonda ogni asserzione che venga dal lato dei produttori di semi OGM. Purtroppo in molti paesi (USA fra tutti) è in voga il sistema delle “porte girevoliâ€, per cui molti manager delle multinazionali e delle agenzie di controllo (FDA, EPA etc.) per anni si sono a turno scambiati i posti nei vertici delle loro organizzazioni, mentre altri corpi intermedi (parlamenti, istituti di ricerca) hanno mostrato uno scarso potere di resistenza alle pressioni delle lobby. Questo ha creato nel pubblico un giustificato scetticismo verso ogni affermazione in materia. In Europa il potere delle grandi società di agroindustria è minore. Ma la resistenza che è stata fatta a livello della UE alla penetrazione delle materie prime OGM, non si è basata tanto su ricerche e indagini di tipo scientifico, che identificassero e valutassero pericoli reali, quanto sull’applicazione del tuttofare “principio di precauzioneâ€, in nome del quale si sono bloccate alle frontiere le materie prime agricole OGM. Il cotone ha potuto superare questo baluardo solo perché diverso è il suo impiego finale: ma non certo sulla base di fatti e ricerche specifiche.
I benefici
Ricorrere al “principio di precauzioneâ€, come è oggi applicato, rischia di essere in queste materie uno slogan regressivo. Quasi tutte le grandi innovazioni anche in campo biochimico sono state una sfida a questo principio, implicando una buona dose di rischi, pur compensata dai maggiori benefici. Esistono davvero questi benefici? A noi sembra che il progressivo, massiccio e continuo aumento della quota di mercato dei semi di cotone OGM non può essere solo dovuto alla capacità di vendita delle multinazionali, tanto più che la quota più importante delle superfici seminate non si trova nei paesi più poveri del terzo mondo che sono possibili prede di spregiudicati agenti di vendita. ICAC riporta che “valutazioni indipendenti indicano che milioni di coltivatori in Cina, Sud Africa e India hanno tratto sostanziali benefici economici, ambientali, di salute e sociali dal cotone biotechâ€[3]. Il caso indiano è stato ultimamente studiato in un servizio giornalistico di Stepahnie Lahrtz pubblicata su un autorevole quotidiano svizzero[4]. L’occasione è stata l’approvazione (giugno 2009) da parte del governo indiano del permesso di vendita di una varietà di melanzane OGM (melanzane con tossina BT anch’esse). Si tratta del primo caso, al di fuori degli USA di una licenza concessa a un frutto OGM. L’India è stato uno dei primi paesi a conoscere i semi modificati del cotone, qui introdotti nel 2002 e poi seminati in un paio di anni su ben 500.000 ettari. E sull’India – ricorderanno i lettori – sono circolate le allarmanti notizie di contadini spinti al suicidio dall’insuccesso del raccolto, per il quale si erano indebitati pesantemente. Questa situazione, tuttora molto sfruttata dai fautori del cotone “bioâ€, oggi sembra superata brillantemente con il cotone biotech utilizzato da circa il 95% dei coltivatori, coprendo l’ 85% delle superfici totali seminate a cotone (pari a 7,6 milioni ettari). L’articolo riporta anche il risultato di una ricerca di M.Quaim (Germania, Università di Gottinga): sembra che“dopo le difficoltà iniziali il cotone BT ha portato dei guadagni ai coltivatoriâ€. Oggi, secondo questa ricerca, ci sono circa 150 varietà diverse di cotone BT in India, adattate alle diverse condizioni delle diverse regioni. “I coltivatori possono con i cotoni BT ridurre del 40% i consumi di pesticidiâ€e così arrivare ad un ricavo che per questa ragione “è aumentato dal 30 al 40%â€.
E i rischi
A questi benefici, che prendiamo con beneficio di inventario (ci saranno le porte girevoli anche in Germania?) si contrappongono i rischi del cotone bio-tech che cerchiamo ora di ricordare, riprendendo il rapporto ICAC prima citato. Essi sono di duetipi: rischi per la “biosafety†e i rischi ambientali. Sui primi, il rapporto ICAC sostiene che “rigorose valutazioni non hanno identificato nessun rischio per l’uomo dalle varietà di cotoni biotech o dai loro prodottiâ€, mentre viceversa “una valutazione dei rischi ambientali richiede una valutazione caso per caso, in rapporto alla regione in cui il cotone viene coltivatoâ€. I rischi identificati sono il passaggio dei geni e quindi le conseguenze sulla biodiversità ; l’impatto su altre specie di insetti non mirati; il rischio della crescita della resistenza dei parassiti. Onestamente il rapporto riconosce che quello della contaminazione dei geni (tramite impollinazione) è un evento possibile, sebbene “raroâ€. Riconosce esistente il problema dell’impatto delle tossine del BT su altri insetti, giudicandolo però molto minore dell’effetto dei normali pesticidi che sono a spettro molto ampio. Il rischio della crescita della resistenza è anch’esso valutato nella sua importanza e affidato per la sua gestione alla messa a punto di strategie locali o regionali che sarebbero, per altro, di più difficile applicazione nei paesi e nelle piccole superfici coltivate nei paesi in via di sviluppo. Ed ecco quindi le conclusioni: le varietà di cotoni OGM “ non devono essere viste come l’arma letale per il controllo delle infestazioni del cotone, ma devono essere riconosciute come una componente valida di un sistema integrato (IPM) che può ridurre l’impatto delle infestazioni e così risolvere importanti problemi ambientaliâ€. Per questi motivi, occorre prevedere nell’uso dei cotoni OGM “strategie che prendano in considerazione la capacità dei coltivatori locali di applicare requisiti che spesso sono restrittivi per i piccoli coltivatori. Per questa ragione governi, agenzie di ricerca e fornitori di tecnologia devono considerare approcci regionali alla gestione che riducano l’onere dei coltivatori singoliâ€[5].
La ricerca scientifica ha bisogno di regole
Si scopre quindi, alla fine, che da soli i progressi delle scienze non bastano senza un sistema di regole.
L’agricoltura “biotecnologica†è un apprendista stregone che scopre di avere bisogno dell’impegno dei governi e delle agenzie regolatrici, per gestire i rischi delle proprie scoperte. Viceversa l’agricoltura “biologica†si presenta autosufficiente, in quanto rinuncia per principio alle soluzioni offerte dalla chimica di sintesi e dalle biotecnologie. Il cotone “bioâ€, coltivato con sementi tradizionali, inserito in un ciclo virtuoso che protegge la naturale fertilità del terreno e non porta minacce alla diversità delle specie, supera quindi senza problemi l’esame della sicurezza e l’esame del “politically correctâ€: ma ci sono molti dubbi che questa soluzione possa sostenere il confronto con il mercato, nel quale occupa una nicchia quantitativamente oggi ancora trascurabile. L’ “organic farming†è probabilmente un’ottima idea. Convertire questa idea in un modello operativo capace di generare un output fisico accettabile, adeguato a un mondo di 6 miliardi di consumatori, è un’impresa i cui risultati non ci risultano ancora documentati. Nel caso emblematico del cotone, la domanda che ancora attende una risposta è la seguente: quali sono le reali capacità di espansione del cotone “biologico†al di là di quelle aree che, per fortunata condizione naturale, possono consentire la rinuncia ai mezzi di difesa non consentiti ed la rinuncia ai semi geneticamente modificati? Se si vuole andare verso un tessile sostenibile, non credo che si possa risolvere il dilemma del cotone (cotone bio o cotone biotech), restando ai soli argomenti e alle informazioni che la scarna letteratura di oggi ci propone e in parte abbiamo richiamato. Sia perché questi argomenti sono pochi (sebbene evocatori di filoni di ricerca importanti) sia perché in essi il confine fra i fatti e i valori, fra la scienza e l’ideologia, sembra spesso evanescente. Anche i più schierati difensori della linea “biologica†dovrebbero ammettere che oggi nessun tipo di cotone è in grado di dare una risposta pienamente soddisfacente alle preoccupazioni ambientali connesse alla coltivazione di questa fibra (perché non c’è solo il problema dei chemicals, ma anche quello del fabbisogno di acqua, di terreno arabile etc). Il match, per così dire, non finisce comunque in pareggio: infatti, se guardiamo avanti, le tecnologie della ingegneria molecolare stanno per mettere a segno qualche altro colpo. Dopo i cotoni BT e HT, sono annunciate varietà di cotone in grado di fare un uso più efficiente dell’azoto (quindi con minore ricorso di fertilizzanti) e un uso più efficiente dell’acqua, fattore assolutamente critico per questa coltivazione. Se alle promesse seguiranno i fatti, si tratterebbe di una svolta nuovamente storica, che segnerebbe l’avvio, dopo la seconda ondata della rivoluzione “verdeâ€, quella basata sulla ingegneria genetica, di quella che di recente l’Economist Technology Quarterly (6 giugno 2009) ha chiamato la “terza ondata†delle biotecnologie: “per un lungo periodo il pubblico ha percepito la biotecnologia come il trafficare con i geni nelle coltivazioni agricole. Ma la biotecnologia è qualcosa di più che il cibo transgenico: comprende l’uso dei microbi per produrre farmaci, ad esempio. I principali benefici della prima ondata della biotecnologia in medicina sono stati sfortunatamente messi in ombra dai rischi sospettati sui prodotti biotech della seconda ondata, in agricolturaâ€[6]. Uno degli esempi di questa emergente tecnologia, citato nel servizio dell’Economist, riguarda l’acido acrilico la cui molecola è ottenibile attraverso il metabolismo di batteri particolari ed è, come è noto, una sostanza destinata a diversi impieghi anche nel campo degli articoli tessili di largo consumo. Questi prodotti non intendono sostituire prodotti naturali con prodotti bio-ingegnerizzati, quanto sostituire risorse fossili (petrolio) con risorse naturali.
Pertanto…
Immagino che molti produttori tessili, che oggi cercano in svariati modi di soddisfare gli appetiti “verdi†dei consumatori, rischiano di smarrirsi in questo scenario. Il consiglio è di tenere alzate le antenne per avvertire con anticipo le novità che sotto diverse spinte i prossimi anni ci riserveranno.
Lodovico Jucker
Note:
[1] ICAC, Update on Biotechnology in Cotton, Attachement II to SC-N-497, February 24, 2008.
[2] Marie-Monique Robin, Il mondo secondo Monsanto, trad.it. Bologna 2008.
[3] ICAC, cit.
[4] Neue Zuercher Zeitung, 19 giugno 2009.
[5] ICAC, cit.
[6] The Economist, june 6th 2009.