A differenza di quanto si crede, Milano è una delle più ricche città d’arte. I secoli che si sono succeduti hanno lasciato tracce inconfondibili dei vari stili in palazzi ed edifici sacri che qua e là affiorano nella città che si è data una veste moderna. Il Duomo è il più ampio e complesso organismo che l’architettura gotica abbia innalzato in Italia. Si evidenziano anche la Basilica paleocristiana di San Lorenzo (Sec V),
la Basilica di Sant’Ambrogio (sec. X – XII), la Chiesa di Sant’Eustorgio
che è il più insigne monumento medioevale milanese dopo Sant’Ambrogio con la quattrocentesca Cappella Portinari, la rinascimentale Chiesa di Santa Maria delle Grazie eretta in forme ancora gotiche dal Solari cui il Bramante aggiunse la parte absidale nel 1492, la Chiesa di San Satiro gioiello architettonico del primo rinascimento, la Basilica di San Nazario Maggiore risalente al IV secolo e ricostruita in alcune parti nel secolo XI. Tra gli edifici civili più significativi annoveriamo: Palazzo Marino, Palazzo Reale ed il Castello Sforzesco. Notevoli collezioni d’arte si trovano nei Musei Civici del Castello, nella Pinacoteca di Brera, nel Museo Poldi Pezzoli, nella Biblioteca e Pinacoteca Ambrosiana, nelle Gallerie d’Arte moderna e contemporanea. Noti sono pure il Museo di storia naturale, il Museo teatrale presso il celebre Teatro alla Scala ed il Museo della Scienza e della Tecnica “Leonardo da Vinciâ€. Due fatti importanti hanno segnato la vita artistica nella Milano rinascimentale: la venuta nel capoluogo lombardo del Bramante e del Leonardo che hanno determinato per la pittura lombarda il principio di un’era nuova. In particolar modo Leonardo raddolcisce la maniera triste e pesante del dipingere dei lombardi. Il Manierismo pittorico lombardo si esprime durante il periodo che va dalla fine del ‘500 al 1630, quando a Milano si trovano i cosiddetti ‘pittori della peste’, in quanto furono lo specchio fedele di un’epoca di profonda crisi scandita da due terribili pestilenze. In questo periodo Carlo e Felice Borromeo stilarono norme per l’esecuzione delle pale sacre in cui i pittori erano tenuti a servirsi delle tecniche pittoriche (semplicità di composizione e realismo) più atte a colpire immediatamente i sensi per giungere al cuore. Descriviamo ora due edifici sacri, molto interessanti, che si trovano nella periferia di Milano dai contenuti diversificati ma accomunati dalla bellezza che l’arte sa esprimere: la Certosa di Garegnano nel quartiere omonimo e la Chiesa di Santa Maria Annunciata nel quartiere Chiesa Rossa.
Certosa di Garegnano
La Certosa di Garegnano è un complesso monastico ricostruito nel XVI secolo forse dal Tibaldi. La Chiesa di Santa Maria Assunta, di origine viscontea, dall’alta fronte a tre ordini è attribuita all’Alessi od al Seregni. È a navata unica, lunga e stretta, con volta a botte e due cappelle ai lati dell’ingresso. Conserva nell’interno un importante ciclo di affreschi che rappresentano la più vasta impresa pittorica del bustocco Daniele Crespi. Descrivono le storie di San Brunone e dell’ordine certosino e si snodano sulle pareti della navata e della volta. Spiccano in dette decorazioni le figure dei Santi, veri e propri ritratti, ed il cromatismo prevalentemente basato sul grigio e violetto, di origine ceranesca. Il Tassi, biografo bergamasco, ricorda che a Garegnano il Crespi ebbe l’aiuto del sangiovannese Carlo Ceresa. Il Ceresa infatti, per arricchire la propria cultura artistica, si recò presto a Milano soprattutto per apprendere la lezione di Daniele
, grande esponente della pittura voluta dal Cardinale Federico Borromeo, consistente nel conferire quei caratteri di edificante moralismo controriformistico che fanno pensare a manifestazioni analoghe dell’arte spagnola (Velasquez e Zurbarà n). Il Ceresa nello stesso tempo osserva gli altri dipinti del Crespi, come le terribili scene dell’organo e il digiuno di San Carlo, eccezionale per semplicità di mezzi e potenza di resa, alla Chiesa della Passione. Se guardiamo la pala del Ceresa nella Chiesa di Santa Caterina a Bergamo notiamo che il San Carlo, in mozzetta rossa sopra il camice bianco, è stato di certo copiato dal quadro del Crespi. Il bergamasco Simone Peterzano subì profondamente l’influsso della pittura veneta come si evince dalle sue prime opere (Tele del presbiterio di Santa Barnaba a Milano)
per divenire successivamente un esponente del manierismo aderendo al più schietto naturalismo lombardo nel senso del Moretto ed innanzitutto del Savoldo. La bella tela raffigurante la Deposizione in San Fedele a Milano ed in particolar modo gli affreschi e le tele della cupola del presbiterio e dell’abside che realizzò per la Certosa di Garegnano sono i più significativi al riguardo. Nella sua bottega milanese ebbe per allievo l’adolescente Caravaggio, sul quale esercitò un certo influsso nel linguaggio e negli schemi compositivi. Le tre tele dell’abside della Certosa rappresentano: Resurrezione; Madonna col Bambino ed i Santi Ugo, Ambrogio, Giovanni Battista e Bruno; Ascensione. Le decorazioni a fresco sono composte da: Cristo in croce con la Maddalena, Madonna e San Giovanni Evangelista (catino dell’abside); Eterno (occhio della cupola); Otto Angeli con i simboli della Passione (spicchi della cupola); Otto Sibille (soprarchi del tamburo); Evangelisti (arcate laterali del presbiterio). Sui due lati del presbiterio sono disposti gli affreschi dell’Adorazione dei Magi che occupa l’intera zona inferiore della parete destra e la Natività , modulata su toni grigi rosati, sulla parete sinistra di fronte alla precedente. Presso le Civiche Raccolte del Castello sono conservati numerosi disegni di queste opere che denotano la maggior perizia nel disegno del Peterzano. Un altro bergamasco è presente alla Certosa con un quadro rappresentante l’Annunciazione. Si tratta di Enea Salmeggia detto il Talpino. Detta tela, orientata ai modi del dipingere del Peterzano, costituisce la sua prima realizzazione milanese. Ricordiamo, per finire, esserci nella chiesa i quindici misteri del Rosario, affreschi monocromi del bustocco Biagio Belotti in cui si evidenziano elementi tiepoleschi pur trasparendo la tradizione lombarda nel verismo delle persone e dipinti del Genovesino e di Panfilo Nuvolose.
Chiesa di Santa Maria Annunciata
La Chiesa di Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa prende il nome da una piccola ed antichissima chiesa posta lungo il naviglio Pavese. Si trova in via Neera e si raggiunge percorrendo corso S. Gottardo e via Meda ed anche scendendo alla stazione della metropolitana di piazzale Abbiategrasso (linea 2). Progettata in forme neoromaniche dall’ing Franco Della Porta che la iniziò nel 1926, fu realizzata con disegno diverso da Giovanni Muzio (1932) che mantenne l’impianto, predisposto a tre navate con transetto, adottando una sola abside. La copertura è piana ai lati ed al centro chiusa da volta a botte molto più ampia. Dalla navata sinistra si accede al battistero di forma ottagonale. Sulla vasca battesimale spicca il San Giovanni, scultura giovanile di Giacomo Manzu. Nel pronao monumentale, dal profilo a capanna, è presente il ricordo delle architetture neoclassiche amate dal Muzio. Giovanni Muzio (Milano 1893 – 1982) fu il rappresentante di maggior rilievo del novecento in architettura.
Pur rimanendo, in effetti, estraneo al processo di rinnovamento che interessò negli stessi anni l’architettura europea, la sua opera, seppe raccogliere con efficacia un certo numero di motivi culturali come le suggestioni di forme e di spazio della pittura metafisica. Della sua vasta produzione ricordiamo oltre alla Chiesa in trattazione: la casa di via Moscova a Milano, popolarmente detta “Ca Brutta†per lo scandalo suscitato dall’allora ardita semplificazione decorativa,
il Palazzo del Governo di Sondrio, la sistemazione di piazza del Duomo a Milano con i propilei, il grande blocco degli alloggi di piazza della Repubblica a Milano che è senza dubbio il suo lavoro più significativo. Anche a Bergamo, dove soggiornò con la famiglia essendosi il padre trasferito nel 1902, lascia la sua impronta di progettista nella chiesa di Zorzino sopra il lago d’ Iseo. Collaborò con Marcello Piacentini nel progetto e nell’esecuzione della Banca Bergamasca (pianta ed interno del Muzio, disegni della facciata del Piacentini). Torniamo ora a parlare della Chiesa di Santa Maria in Chiesa Rossa. L’interno bianco uniforme e luminoso mancava di qualche cosa. Il parroco don Giulio Greco si recò a Varese a visitare la collezione Giuseppe Panza rimanendo fortemente colpito per la forza di richiamo della luce rossa che riempiva la sala espositiva, azionata da tubi fluorescenti disposti tutt’intorno. L’autore era Dan Flavin, scultore americano, nato a New York nel 1933 e morto nel 1996. Esso fu tra i primi a sfruttare le possibilità offerte dai tubi di luce al neon per creare degli assemblages luminosi, i cui effetti manipolano ed interagiscono con lo spazio entro cui l’opera è collocata.
Le sue opere, soprattutto le più recenti, sono esposte in tutto il mondo. È considerato uno dei primi esponenti della minimal art. Dopo circa due anni dalla visita varesina, il parroco scrisse al Flavin, pregandolo di fare qualche cosa per la sua chiesa. L’artista, pur essendo molto malato, accettò e per mezzo dell’organizzazione Dia / Center of the Arts di New York che lo aveva sempre aiutato inviò a Milano alcuni consulenti per gli opportuni rilievi. Alla fine del 1996 il progetto era pronto e subito dopo seguì la morte dell’artista. L’organizzazione suddetta realizzò l’installazione nel corso dell’anno successivo mediante il contributo di un’azienda (la Prada). Dei tubi fluorescenti multicolori sono stati sistemati lungo gli spigoli orizzontali delle volte e sui verticali dell’abside. Dal sommarsi delle loro emissioni blu, giallo, rosa e ultravioletto si producono i toni tenui escogitati dal Flavin. La chiesa diviene luminosa di cielo nella navata centrale, di rosa nel transetto e d’oro nell’abside. Viene così resa magnificamente la rappresentazione astratta di Dio. Una raccomandazione per il visitatore. Recarsi a vederla nelle prime ore mattutine o serali perché l’intensa luce esterna evidentemente affievolisce il lieve effetto luminoso studiato dall’artista. L’opera non ha un nome che lasci significare l’idea della luce in quanto è stata chiamata semplicemente “ Untitled 1996†(Senza titolo 1996). Minimalista anche in questo.
Aldo Milesi