Giovanni Legrenzi e Tomaso Zuane Albinoni protagonisti del barocco musicale veneziano

A Venezia a partire dal sec. XV è documentata l’attività ella Cappella di San Marco, con l’assunzione di organisti  la creazione di una scuola di canto. Il cinquecento fu il secolo della grande affermazione di Venezia che attrasse presso di sé importanti artisti e vide la presenza di celebri editori musicali (Petrucci, Scotto e Giordano). Le musiche che venivano eseguite in modi solenni erano associate ad eventi non solo sacri ma anche politici e rivelano carattere di sontuosità, di colore, di ricchezza sonora. Fra i musicisti attivi in questo periodo figurano i fiamminghi A. Willaert, Maestro della Cappella di San Marco dal 1527 al 1562 e P. Verdelot. Fra i musicisti più eminenti vanno ricordati i veneziani Andrea e Giovanni Gabrieli. La musica acquista a Venezia eccezionale importanza nei secoli XVII e XVIII. Claudio Monteverdi, Maestro della Cappella di San Marco, è considerato il fondatore dell’opera veneziana e l’iniziatore di quelle espressioni musicali così vibranti di drammaticità e ricchezza di passione da caratterizzare la musica veneziana fino a tutto il settecento. L’orchestra della Cappella di San Marco ebbe momenti di grande splendore quando ne assunse nella seconda metà del settecento la direzione il famoso compositore Giovanni Legrenzi. Allievo del Legrenzi fu Antonio Lotti, uno dei compositori più, illustri della scuola veneziana soprattutto nelle sue composizioni religiose. Anche Antonio Vivaldi si formò nell’ambito della Cappella di San Marco. Geniali i suoi “concerti grossi” che restano straordinarie lezioni di sapienza e ricchezza strumentale. Vengono pure ricordati Baldassarre Galuppi detto il Buranello, tra i più ammirati del settecento sia come compositore, violinista e clavicembalista e Benedetto Marcello, uno degli esponenti massimi della musica di quel tempo. Tomaso Albinoni, violinista e compositore, è considerato un antesignano della forma di concerto solistico per violino e prima di tutto per oboe. La brevissima premessa è atta ad introdurre il profilo di due musicisti, protagonisti del barocco veneziano: Giovanni Legrenzi e Tomaso Zuane Albinoni, il primo nativo ed il secondo originario della bergamasca.

 

GIOVANNI LEGRENZI

Fu un musicista di spicco nel suo tempo. La sua arte sarà di modello alle generazioni successive. Nasce a Clusone nel bergamasco il 12 agosto 1626 e muore a Venezia il 27 maggio 1690. Nel suo testamento che si trova presso l’archivio di Stato di Venezia, il grande compositore,

afferma di voler essere sepolto a Santa Maria della Consolazione (la Fava) in Venezia. Purtroppo in seguito al rifacimento della stessa, la sua tomba è andata perduta. Nei registri canonici della soppressa parrocchia di San Lio, ora nell’archivio parrocchiale di Santa Maria Formosa è detto che la sepoltura del musicista avvenne in “Oratorio San Filippo”, la chiesa della Fava odierna. Il Legrenzi, sacerdote, appartenne sempre al clero di Bergamo. Il suo primo insegnante fu il padre Giovanni Maria, violinista. Successivamente proseguì gli studi a Bergamo e più avanti a Venezia col Rovetta. Nel 1654 fu organista in Santa Maria Maggiore a Bergamo e membro dell’Accademia degli Eccitati. Entrò in contatto con le opere del Vitali e del Cazzati, attivi nella città, rimanendone influenzato nelle sue prime composizioni strumentali. Ricordo che l’attività musicale di Santa Maria Maggiore dell’epoca è tra le più avanzate, modello di mediazione tra Est e Ovest. Prima di recarsi a Venezia, Giovanni si trasferisce a Ferrara nel 1657 come Maestro di Cappella dell’Accademia di Santo Spirito, edificata nel 1547, nella chiesa omonima. Nella città estense stabilisce felici rapporti con l’amico e mecenate Ippolito Bentivoglio, autore tra l’altro di alcuni libretti d’opera del musicista del periodo ferrarese. Rappresenta le sue prime opere teatrali: Nino il Giusto (1662), l’Achille in Sciro (1663), Zenobia e Radamisto (1664) che sarà in seguito ripresa al Teatro San Salvatore di Venezia col titolo di Tiridate con nuovo libretto di N. Minato (1668). Lascia spesso la città per Brescia,Verona, Modena, Mantova, in qualità d’autore teatrale. Ferrara non è più la città splendente degli estensi che la rendeva preferibile a Venezia. Il Legrenzi perciò, non può non subire la grande seduzione della città lagunare dove si pubblica e si fa più musica che in altri posti e soprattutto irresistibile è il richiamo del mondo teatrale. Basti pensare che nel’600 l’andata in scena di opere in musica è attestata in nove teatri principali : San Cassiano, San Luca o San Salvatore, San Moisè, SS. Giovanni e Paolo, Novissimo, Sant’Aponal, San Samuele, Sant’Angelo e San Giovanni Crisostomo, oggi Malibran. Abbandona di conseguenza Ferrara e si trasferisce a Venezia con la sorella nel 1664. Autore di oratori, musica sacra di cui fu copioso compositore, di musiche teatrali e sinfonista. Venezia costituisce per lui la sede più ricettiva e stimolante. Dal 1670 al 1676 è Maestro del coro dell’Ospedale dei Derelitti e dal 1676 al 1682 a quello dei Mendicanti ai SS. Giovanni e Paolo. Gli ospedali veneziani maggiori (oltre ai citati ci furono anche gli Incurabili alle Zattere e la Pietà sulla Riva degli Schiavoni) non si occuparono solo di opere assistenziali, ma indirizzeranno all’istruzione musicale le orfanelle preparandole spesso al mestiere di “cantatrici”. I maggiori insegnanti e compositori, i solisti più rinomati si avvicenderanno alla guida di tali istituti e le rappresentazioni nelle chiese si alternano come accompagnamento alla liturgia e come esecuzioni d’oratori sacri. La veduta dei complessi coralistrumentali era preclusa da spesse grate che ancor oggi si possono vedere nelle chiese degli ospedali precedentemente nominati. Tutto ciò faceva maggiormente gustare quei cori, circondati quasi da un alone di mistero. In un elenco stilato dal Legrenzi per i Governatori dei Derelitti nel 1676 si evince quali fossero le composizioni che i maestri erano chiamati a scrivere ad uso della Cappella degli ospedali: messe, salmi, mottetti, compiete, inni, sonate “da arco”, sonate da “tasto”. Il Legrenzi è il solo tra i maestri del coro dei Mendicanti che divennero Maestri della Cappella Marciana. Niente di simile era avvenuto per gli altri ospedali veneziani che pure ebbero valenti Maestri del coro. I sette Maestri furono nell’ordine: Monferrato, Legrenzi, Partenio, Biffi, Saratelli, Galoppi e Bertoni. A Venezia scrive una ventina di opere, fra cui La Divisione del Mondo (1675), Totila (1677), e Il Giustino (1683). Quest’ultima è l’opera più nota. La versione napoletana subirà il rifacimento di alcune parti da parte di Alessandro Scarlatti. Ultimo eccelso rappresentante dell’opera veneziana, Giovanni ereditò da Monteverdi e Cavalli, la maestosità dell’arioso, delinea le differenti formule dell’aria, orienta la parte orchestrale in una direzione che Händel, Scarlatti ed Hasse ricorderanno. Geniale nel tratteggio umoristico (con uso anche di elementi riportati dalla musica popolare), profonde gli allestimenti più fantastici della scenografia nella rappresentazione teatrale. Memorabili le già citate “La Divisione del Mondo” ed “Il Totila”. Quest’ultima un autentico show che richiese alcuni elefanti e 150 trombe. La sua fama s’impose celermente a livello europeo oltre che per la produzione operistica anche per quella strumentale e sacra, tanto da essere considerato uno dei maggiori compositori del barocco europeo. ella musica sacra contribuì validamente allo sviluppo dello stile chiesastico concertante per voci e strumenti. Rammentiamo il Te Deum per la conquista di astrasso (1687), la Messa da requiem per la morte di C. Pallavicino (1688), i Responsosi della Settimana anta e la Messa Lauretana a 5 voci (1689). l 5 novembre 1681 fu chiamato a succedere ad A. Santorio come Vice Maestro della Cappella di S. Marco, la più importante istituzione musicale della città. Il 23 aprile 1685 alla morte del Monferrato fu nominato 1° Maestro che conservò fino alla morte. I rappresentanti più importanti del mondo musicale veneziano (Willaert, Zarlino, Donati, Monteverdi, Rovetta, Cavalli, Monferrato, Legrenzi, Partenio, Lotti, Galuppi, Bertoni furono Maestri di Cappella a San Marco. Il Legrenzi riorganizzò l’organico della Cappella formato da 34 elementi così suddivisi: otto violini, undese violette, doi viola da brazo, tre violoni, quattro tiorbe, doi cornetti, uno fagotto, tre tromboni. Successivamente propone 36 musici per la compagnia vocale: nove soprani, nove contralti, novi tenori e nove bassi. Quest’ultima proposta non verrà però completamente esaudita. Nella sua casa veneziana organizzava spesso esecuzioni musicali, nel corso delle quali faceva ascoltare composizioni proprie in collaborazione con gli allievi C. Pollaroli, A. Lotti, A. Caldara, F. Gasparini, D. Gabrielli. Il sovvegno di Santa Cecilia, nacque nel 1687, per iniziativa di due grandi musicisti, il Legrenzi e il Partenio, in ambiente marciano. Lo scopo oltre che associativo e devozionale, era quello di dare assistenza agli iscritti in caso di malattia in vita e di suffragarli dopo la morte. Il sovvegno oltre ai musicisti appartenenti alla Cappella Marciana raccolse l’adesione anche di altri operanti nei teatri od in altre istituzioni cittadine. Ricordiamo fra gli iscrit ti Adolfo Hasse, la moglie Faustina Bordon, Santa Stella ed il marito Antonio Lotti e molti nobili veneziani, conoscitori di musica. Il sovvegno ebbe sede definitiva, dopo il decreto di autorizzazione rilasciato dal Consiglio dei Dieci in data 17 novembre 1690, nella chiesa di San Martino nel Sestiere di Castello dove esistevano un’altare ed una pala dedicata alla Santa Patrona dei musici. Purtroppo Giovanni era già deceduto. Nella mariegola del sovvegno si scopre che nella solenne festività di Santa Cecilia si celebrava con musiche composte dal Legrenzi già dal 1685. A Venezia, rammento che già nel lontano 1522 era stata fondata una confraternita di devozione dedicata a Santa Cecilia nella chiesa di San Cassiano nel Sestiere di Santa Croce. Uno splendido dipinto di Antonello da Messina ornava l’altare dedicato alla Santa Patrona (la chiesa in precedenza era dedicata a Santa Cecilia come ci informa il Sansovino in “Venezia, città nobilissima et singolare”). Abbiamo già ricordato che la fama del Legrenzi fu vasta anche all’estero. Bach ne studiò le composizioni e utilizzò un suo tema nella fuga per organo in do minore.(BWV 574). Anche Händel trasse da un suo tema la frase “To the dark servant” del coro “ O first created beam” del Samson.

 

TOMASO ZUANE ALBINONI

Il padre di Tomaso Albinoni, Giovanni Antonio di Tommaso, pervenne a Venezia da Castione della Presolana. Diverse famiglie Albinoni, non si sa quanto tra loro imparentate, provenienti dalla località bergamasca, si trovavano a Venezia nel diciottesimo secolo. Svolgevano diverse attività: spezieri (farmacisti), marzieri (merciai), commercianti in ferramenta ed anche in merci pregiate con l’estero. Alcuni componenti di queste variegate famiglie furono ascritte alla Cittadinanza Veneziana. Antonio, stabilendosi a Venezia, fu alle dipendenze di Angela Mina che esercitava la professione di “carter”(fabbricante e commerciante di carte da gioco) come garzone dal 1652 nella parrocchia di San Moisè in calle della Frezzeria. Nel 1668 sposò Lucrezia Fabris,

figlia di Stefano “calegher” (calzolaio). L’Albinoni destò ottima impressione in Mina per l’onestà e la bontà lavorativa dimostratagli, tanto da lasciarlo erede di tutto ciò che atteneva all’attività di “carter” (insegna del negozio, attrezzatura, materiali, ecc.) esclusa la proprietà immobiliare. Oltre a Tomaso Zuane, nato a Venezia il 6 giugno 1671, i coniugi Antonio e Lucrezia ebbero Domenico, Giovanni, Caterina ed altre due figlie. Antonio morì il 23 gennaio 1708 e fu sepolto a San Moisè. L’eredità della Mina consentì agli Albinoni di trovarsi in buone condizioni economiche ed anzi a migliorarsi finchè la loro attività ebbe un tracollo per un affare andato male da parte del padre. Ricordiamo che Domenico fu insignito del titolo accademico di “Dottore” ed il solo della famiglia ad essere onorato della Cittadinanza Veneziana. Tomaso Zuane sposò la veronese Margherita Raimondi in San Pietro della Vigna di Milano il 17 marzo 1705. Gli sposi presero casa in parrocchia dI San Trovaso ed ebbere sette figli. Nella sua casa in San Trovaso pagarono un affitto annuo di 80 ducati, vivendo serenamente fino al 1721. La moglie morì appena trentasettenne. Dopo la sua morte Tomaso si trasferì in altra casa in calle Longa nella vicina parrocchia di San Barnaba pagando un affitto annuo di 28 ducati. Qui visse con tre figli: uno religioso, uno secolare ed una figlia nubile. Morì il 17 gennaio 1751 dopo lunga e sofferta malattia. Si presume fosse stato sepolto in San Barnaba. Tommaso insegnò musica e fu copioso compositore. Purtroppo quest’ultima attività non era sufficiente al sostentamento della famiglia come d’altra parte avveniva per tutti i compositori dell’epoca. Tomaso Zuane trascorse quasi tutta la sua vita a Venezia. Si dedicò allo studio del violino, del canto e del contrappunto. Fu inizialmente dilettante, in seguito professionista per le mutate condizioni finanziarie. Ebbe per maestro probabilmente Giovanni Legrenzi. Svolse la sua attività contemporaneamente sia nel campo vocale che in quello strumentale. La sua produzione operistica comprende oltre 50 melodrammi di cui sono pervenute solo alcune arie oltre a qualche rifacimento e ripresa. Alcune cantate profane per voce e strumento sono giunte manoscritte. Compose anche musica sacra. La sua prima opera, Zenobia, regina de’ Palmieri, fu rappresentata al Teatro Grimani dei SS. Giovanni e Paolo a Venezia nel 1694. L’ultima, Artamene, venne data al Teatro Sant’Angelo di Venezia durante il carnevale del 1740. Nel 1722 troviamo il musicista a Monaco di Baviera, chiamato per organizzare le feste musicali in occasione delle nozze del principe elettore Carlo Alberto di Baviera con Maria Amalia, figlia di Giuseppe I. Nel 1725 è a Praga per presenziare al Lucio Vero in occasione del carnevale, in divertimento della nobiltà di quella città. Amico del Biffi e del Vivaldi fu in campo teatrale, rivale del Gasparini. A Venezia conobbe il Metastasio di cui musicò la Didone abbandonata nel 1725. Fu essa rappresentata al Teatro Tron di San Cassiano durante il carnevale e dedicata alle eccellentissime donne veneziane. È questo il primo melodramma metastasiano comparso nei teatri veneziani. Le sue composizioni strumentali sono circa 102 raggruppate in nove numeri d’opera, tra Balletti, Sonate, Sinfonie e Concerti, oltre ad altre manoscritte. Tipico rappresentante del barocco italiano, ha un gusto preciso e sottile per l’ampio arco melodico, per l’armonia raffinata e per una strumentazione accurata. Rispetto ai suoi predecessori e contemporanei stabilisce chiaramente il concetto di “sinfonia” in cui tutti gli strumenti concorrono in ugual misura a dar vita al discorso musicale differenziandolo dal “concerto” dove si evidenzia lo strumento solista (violino e soprattutto l’oboe) dal resto dell’orchestra. In esso da prova di bravura tecnica ed inventiva in interventi a solo talvolta eccezionalmente espansi. È significativo che J. S. Bach abbia studiato a fondo le composizioni di Tomaso pari a quelle di Vivaldi. Tutta la sua più valida produzione risente infatti degli accorgimenti appresi dall’opera di Albinoni. Le sue 12 Sonate a tre, op 1 ispirarono al grande tedesco, tre delle sue più significative fughe. Nelle op. VII e IX mette in risalto l’oboe solista, cosa inconsueta nel concerto italiano, poiché i legni avevano generalmente parte secondaria. Le opere più riconosciute sono i Balletti e Sonate a tre (op.VIII) e sinfonie e Concerti a cinque (op. II). Con i Concerti a cinque lo si può inscrivere accanto a Vivaldi ed ai due Marcello nella grande fioritura strumentale veneziana settecentesca. Ho partecipato in passato ad una delle Rassegne del Festival Galuppi e della musica del Settecento svoltasi a Venezia nello stupendo salone da ballo di Cà Rezzonico dove è stata rappresentata l’opera buffa “Pimpinone” di Tomaso Zuane Albinoni su libretto di Pietro Pariati proposta nel 1708 al Teatro San Cassiano di Venezia e ripresa una decina di volte fino al 1724 per poi varcare le Alpi. Infatti la trama dell’opera, gioiello del repertorio settecentesco, sarà utilizzata da Telemann. Pure il Pergolesi nella sua celebre “Serva o Padrona”, del 1753 se ne approprierà. Il soggetto di Pimpinone narra dell’inganno giocato ad un vecchio e ricco scapolo da parte di una cameriera, che si fa sposare da Pimpinone, dominandolo poi interamente. L’opera si svolge in tre brevi atti. Nel primo la intraprendente servetta di nome Vespetta ottiene l’incarico in casa di Pimpinone. Nel secondo giunge a farsi offrire il matrimonio e nel terzo spadroneggia liberamente in casa del povero vecchio turlupinato. La partitura si colora di signorile eleganza caratterizzata da una vocalità raffinata e da una scrittura strumentale ricercata e sostanziale.

Aldo Milesi