Relazione sig. Gianluigi Viscardi

Nel mezzo di una profonda crisi europea, ma non mondiale:

  • Bergamo è tutt’altro che un’isola felice ma si difende meglio (le esportazioni sono ai massimi storici, la produzione industriale è solo di qualche punto inferiore ai massimi livelli del 2007);
  • il tasso di disoccupazione è il più basso d’Italia intorno al 4%, meno della metà di quello nitaliano e di quello europeo; un dato, per la verità, un po’ falsato perché non considera i quasi 30 mila lavoratori in cassa integrazione straordinaria o in mobilità;
  • il tasso di disoccupazione giovanile, pur cresciuto negli ultimi due anni, è un terzo di quello nazionale;
  • nonostante 4 anni di difficoltà la provincia di Bergamo è in grado di offrire un numero di posti di lavoro pari agli abitanti che intendono lavorare, tanto che negli anni buoni si poteva dire che qualunque ulteriore crescita fosse subordinata ad un aumento dell’immigrazione oppure a un maggiore tasso di attività femminile.

I punti di forza che hanno consentito finora un atterraggio relativamente morbido della crisi a Bergamo sono essenzialmente tre:

  • una elevatissima propensione all’imprenditorialità,
  • una capacità di lavoro elevata,
  • un’industria internazionalizzata e innovativa.

Abbiamo un’impresa ogni 10 abitanti ed ancora in questi ultimi mesi, in cui vengono espulse dal mercato molte attività, il saldo rimane positivo, ne nascono più di quante ne muoiono.

Tutti gli indicatori sul lavoro (tasso di assenteismo, disponibilità al lavoro straordinario e legame con le aziende) pongono Bergamo in una situazione di privilegio.

Non si può tacere, tuttavia, che sulla volontà di fare impresa e sull’importanza attribuita al lavoro da parte dei bergamaschi qualche nube si sta addensando.

Abbiamo svolto lo scorso anno un’indagine sulla popolazione bergamasca e quest’anno una ricerca sui giovani residenti a Bergamo. Quest’ultima indagine verrà presentata l’8 giugno, in occasione della premiazione delle “Eccellenze al lavoro”, ed è purtroppo emerso che la propensione all’imprenditorialità si sta complessivamente attenuando e la caduta è più accentuata nei giovani; inoltre il ruolo del lavoro nelle scelte di vita dei più giovani mostra minore partecipazione che nel passato. La paura della precarietà vince sulla scelta a favore del rischio, sulla mobilità e, probabilmente, sulla stessa carriera.

Su questi temi Confindustria Bergamo sta cercando di lavorare perché sono le ragioni stesse della sua esistenza. Su questi temi tutta la comunità deve adoprarsi.

Un cedimento dell’imprenditorialità ed un minor attaccamento al lavoro minacciano l’altro carattere fondante dello sviluppo di Bergamo, cioè l’industria internazionalizzata e innovativa.

Internazionalizzata perché esporta un terzo della produzione, perché circa 250 piccole e medie imprese bergamasche hanno unità produttive all’estero preservando a Bergamo la testa e il cuore, perché sono circa 100 le imprese estere che hanno stabilimenti produttivi nella nostra provincia.

Su questi tre numeri non temiamo confronti in Italia.

Se guardiamo le statistiche internazionali sulla capacità innovativa nei territori Bergamo si trova, nell’Unione Europea, intorno alla media; sono statistiche fondate sulla ricerca sviluppo, sui brevetti, sul numero di persone che si occupano della progettazione.

Sono statistiche influenzate dal modo di fare i bilanci, dalle scelte imprenditoriali, da informazioni di tipo amministrativo. Suggerisco un altro modo di misurare la capacità di innovazione in un sistema produttivo, un metodo che si fonda sul mercato.

Le imprese lombarde (in questo caso non esiste dato provinciale) vendono sui mercati internazionali (che sono il vero luogo della concorrenza) a prezzi che sono tra l’1,5 e le 2 volte superiori a quelli dei prezzi all’importazione ed alla media della concorrenza. Questo vuol dire che hanno qualcosa in più, talvolta il Made in Italy (sistema moda e sistema alimentare), talvolta la tecnologia e il servizio connesso ai beni manufatti (automotive e industria meccanica in generale).

Per alimentare questo sistema internazionalizzato e innovativo sono necessari soprattutto gli asset intangibili. Questi derivano dall’organizzazione, che è specifica competenza dell’imprenditore, e dalla capacità delle risorse umane.

La domanda fondamentale per il futuro diventa, allora, di quali competenze ha bisogno un sistema produttivo per rimanere competitivo.

Le previsioni di assunzioni per il 2012, nonostante le perduranti difficoltà, sono pari al numero di ragazzi che entrano sul mercato del lavoro. Si distribuiscono per grandi gruppi professionali:

Le professioni in grassetto sono quasi il 60%.

Per titolo di studio:

In dettaglio le professioni più richieste sono:

L’Università aumenta ma l’Esperia rimane la migliore garanzia di occupazione.