Il cotone costa come non mai dalla Guerra Civile Americana, eppure il territorio dedicato alla sua coltivazione è il più esteso da 17 anni a questa parte e la produzione crescerà nel prossimo raccolto del 12%. Cerchiamo di capire cosa sta accadendo davvero a questa materia prima e alle altre commodity agricole. È nota una vecchia storiella sugli operatori cotonieri davvero illuminante: si narra che un giovane trader americano, inviato dalla sua società al NewYork Cotton Exchange, mandando la relazione serale ai suoi capi sulle aspettative di mercato scrivesse: “Alcuni pensano che il prezzo salirà , altri che scenderà . Io sono d’accordoâ€. Come dire, fare previsioni sull’estrema volatilità del prezzo della materia prima è praticamente una scommessa. Nell’ultimo anno però l’impossibilità a prevedere tendenze confermabili si è manifestata a senso unico visto che il prezzo della fibra naturale ad Aprile di quest’anno ha superato la soglia dei due dollari e 40 centesimi per libbra denunciando un aumento del 40% in un solo mese. In poche parole l’Icac (International Cotton Advisory Committee) massima autorità mondiale analitica sul cotone spiega che il prezzo a Marzo di quest’anno risulta triplicato rispetto a Luglio dello scorso anno. Una situazione simile non si era verificata neanche durante la Guerra Civile Americana, nota negli annali come la Grande Carestia del Cotone.
Tutto ciò nonostante il territorio mondiale coltivato a cotone per la stagione 2011/2012 sia aumentato del 9%, abbia raggiunto i 36 milioni di ettari, cioè l’area più vasta coltivata da 17 anni e la produzione mondiale si avvia, se saranno rispettate le previsioni a crescere del 11%, a superare i 27 milioni di tonnellate. Finita la pioggia di numeri e dati, resta la domanda, ma cosa diavolo è successo? Perché il mercato è impazzito? Le risposte sono semplici e complesse al contempo. Difficili perché è certamente un insieme articolato di ragioni ad aver determinato e gonfiato la situazione oltremodo. Si va dalle condizioni climatiche che hanno rovinato interi raccolti in Pakistan lo scorso anno, fino alla contemporanea forte domanda proveniente principalmente dalla Cina, e poi la debolezza del dollaro e la decisione del governo indiano ad aprile dello scorso anno (l’India è il secondo produttoremondiale di cotone) di limitare le esportazioni di materia prima per favorire l’industria nazionale. Per ultimo, c’è senz’altro il circolo vizioso della speculazione, innestato dalla difficoltà di acquisto da parte di molti produttori durante la seconda metà del 2010. In fondo il problema è che la crisi mondiale, di cui noi continuiamo a parlare, in realtà nei paesi del BRIC, Brasile Russia Cina e India, non esiste. In quei paesi centinaia di milioni di persone hanno visto il loro reddito aumentare permettendo l’accesso a consumi fino ad ora impensabili. Quasi banalmente, se alcuni miliardi di persone hanno qualche soldo in più e vogliono comprare due magliette invece di una ovviamente il cotone non basta a coprire le richieste e tutto si sbilancia. E ora cosa succederà , assisteremo ancora a una crescita inarrestabile dei prezzi? Ricordiamo la più alta che si è verificata fra tutte le materie prime, ben più alta anche dell’ aumento dello stesso petrolio, dell’oro e di tutte gli altri prodotti agricoli. Si può immaginare che questo sbilanciamento durerà senz’altro per tutto il 2011, perché il cotone che in questi mesi viene seminato è già stato tutto venduto. Per esempio credo che ci vogliano almeno 2 o 3 anni prima che le scorte di cotone nel mondo ritornino a livelli consueti, e questo in uno scenario senza eventi particolari, tipicamente climatici, che mutino le previsioni standard dei raccolti. Questa volta non è il vittimismo di un settore che “si lamenta sempreâ€, è la descrizione di un quadro quotidiano che sta coinvolgendo tutto la filiera tessile e che gradualmente interesserà anche i prezzi finali dei capi venduti alla clientela. Come anche gli aumenti dei prezzi delle derrate alimentari, senza entrare in previsioni politiche generali, che stanno causando già la “rivoluzione del pane†nei paesi Africani. Altre tragedie naturali stanno coinvolgendo le materie prime energetiche e ora tutti i settori ne vengono coinvolti. Se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, questa rivoluzione epocale sta forse aprendo uno spiraglio di crescita anche a miliardi di persone che prima ne erano escluse, ma temo che il bicchiere mezzo vuoto ci presenterà un mondo dove le differenze tra ricchi e poveri si allargheranno ulteriormente, mentre dovremmo dedicare ogni sforzo e ogni ricerca ad un futuro più rispettoso dell’ambiente e che non precluda la vita delle prossime generazioni.