Brevi cenni storici
L’utilizzo delle biotecnologie nelle attività umane ha radici storiche molto antiche. Le prime applicazioni risalgono addirittura al 6000 a.c., quando i Sumeri e i Babilonesi iniziarono a servirsi del lievito (Saccharomyces cerevisiae) per produrre la birra mediante un processo di fermentazione. Gli Egizi, 2000 anni più tardi, scoprirono invece come cuocere il pane usando il medesimo microorganismo. In seguito furono molteplici le applicazioni realizzate sulla base dell’impiego di microorganismi come lieviti, batteri o muffe, che si svilupparono in diversi settori di interesse per l’uomo e che portarono alla nascita della moderna biotecnologia.
La biotecnologia è definita come l’applicazione tecnologica che si serve di sistemi biologici, di organismi viventi o di loro derivati per produrre o modificare prodotti di interesse. Anche l’industria tessile è stata vivacemente stimolata dalle potenzialità delle biotecnologie, che in questo settore hanno manifestato i primi risultati positivi più di 2000 anni fa, quando per la prima volta, la macerazione delle fibre di lino fu eseguita mediante microorganismi.
Da allora i tentativi di apportare modificazioni ai tessuti introducendo organismi viventi o loro componenti si sono evoluti verso processi sempre più specifici e sofisticati.
Gli enzimi: principali caratteristiche
Molti processi biotecnologici che avvengono i presenza di microorganismi vedono come protagonisti gli enzimi contenuti all’interno delle cellule viventi o secreti dalle stesse nell’ambiente circostante.
Gli enzimi sono particolari proteine presenti in tutte le cellule dove svolgono funzioni vitali che interessano l’intero metabolismo cellulare, vale a dire rendono possibile la catena di reazioni che caratterizzano la vita degli organismi vegetali e animali.
Gli enzimi agiscono come catalizzatori biologici, ovvero composti in grado di legare un substrato e di trasformarlo in un prodotto, per rendersi poi disponibili ad un nuovo ciclo catalitico. Infatti, nel catalizzare una reazione l’enzima non si consuma come un normale reagente chimico ma è capace di ripetere più e più volte la stessa reazione rigenerandosi dopo ogni ciclo. L’aspetto fondamentale che contraddistingue un catalizzatore è la capacità di abbassare l’energia di attivazione di una reazione chimica rendendola quindi possibile con un minor apporto energetico esterno e aumentandone la velocità fino a 1020 volte. Questa peculiarità è stata ampiamente sfruttata a livello industriale in diversi settori, non
solo in campo tessile, ma anche nella chimica, nella farmaceutica, nell’alimentare, nel settore della produzione della carta e in altri ancora (Tabella 1). In passato gli enzimi usati industrialmente erano ottenuti mediante estrazione e purificazione da
fonti animali o vegetali o mediante fermentazione di microorganismi selezionati secondo le tecniche della genetica classica. Successivamente, l’avvento dell’ingegneria genetica e della bioingegneria delle proteine ha completamente rivoluzionato lo scenario tecnologico, rendendo possibile un enorme sviluppo applicativo e l’espansione del mercato degli enzimi grazie alla possibilità di produrli in grandi quantità e a costi molto più bassi che in passato. La maggior parte degli enzimi utilizzati a livello industriale sono infatti ottenuti da organismi geneticamente modificati. Tuttavia, gli enzimi non pongono i noti problemi che contraddistinguono gli organismi OGM in quanto, una volta purificati, essi diventano in tutto e per tutto simili agli enzimi prodotti per via naturale. Inoltre non sono in grado di riprodursi per cui non esiste alcun problema di diffusione o potenziale contaminazione ambientale. Una delle principali caratteristiche degli enzimi è la loro elevata specificità di azione, ovvero la capacità di riconoscere e legarsi a substrati specifici e non ad altri secondo un meccanismo “chiave-serraturaâ€. Collocando questa proprietà in ambito tessile risulta chiaro che se un enzima interviene in una reazione su una fibra, reagirà solo con una parte limitata di essa lasciando inalterato il resto. Ciò è molto diverso da quello che succede usando una sostanza chimica aspecifica (come ad esempio la soda) che può attaccare indifferentemente tutte le componenti delle fibre. Se quindi si paragonano i trattamenti enzimatici a quelli tradizionali si evincono i vantaggi che ne derivano. L’azione enzimatica procede generalmente in maniera localizzata e controllata, permettendo di apportare le modifiche volute.
Anche dal punto di vista ecologico gli enzimi rappresentano una valida alternativa ai prodotti chimici. Le reazioni avvengono normalmente a basse o medie temperature (risparmio di energia e di acqua), i valori di pH sono spesso prossimi alla neutralità (migliori caratteristiche dei reflui), se ne utilizzano quantità limitate (si tratta di un catalizzatore), sono biodegradabili e non hanno alcun impatto sul carico inquinante dei reflui.
Biotecnologie tessili: processi biocatalitici
Due importanti sfide che l’industria tessile oggigiorno deve affrontare sono l’innovazione e la sostenibilità . In particolare, le problematiche legate alla sostenibilità dei processi e dei prodotti riguardano i consumi energetici, di acqua, di materie prime non rinnovabili e la produzione di ingenti quantità di reflui e rifiuti ad alto impatto ambientale con conseguenti elevati costi di smaltimento.
In questo contesto si inseriscono le biotecnologie in quanto possono offrire valide alternative ai trattamenti chimici convenzionali, generalmente più inquinanti.
I principali processi tessili che possono essere affrontati per via biotecnologica, vale a dire mediante l’impiego di enzimi in sostituzione di sostanze chimiche, vanno dalla preparazione delle fibre (sbozzima e purga) fino al finissaggio (Tabella 2). L’impiego degli enzimi coinvolge ormai tutte le fibre tessili, da quelle naturali a quelle artificiali e sintetiche.
Storicamente le fibre naturali come il cotone sono state le prime ad essere utilizzate come substrato per le reazioni enzimatiche. La prima applicazione tessile degli enzimi è stata infatti la sbozzima enzimatica dei tessuti di cotone. Le bozzime naturali sono costituite prevalentemente da amido e possono essere rimosse dai tessuti mediante degradazione enzimatica con amilasi seguita dalla eliminazione dei composti idrosolubili mediante
lavaggio.
Esistono 6 classi principali di enzimi:
- OSSIDOREDUTTASI: catalizzano reazioni di ossidoriduzione;
- TRANSFERASI: catalizzano il trasferimento di un gruppo di atomi da una molecola ad un’altra;
- IDROLASI: catalizzano reazioni di idrolisi di legami chimici;
- LIASI: catalizzano la rimozione o l’aggiunta di un gruppo a un doppio legame o altre scissioni che comportano rimaneggiamenti elettronici;
- ISOMERASI: catalizzano rimaneggiamenti intramolecolari;
- LIGASI: catalizzano reazioni di fusione di due molecole attraverso la formazione di un legame covalente.
La maggior parte degli enzimi attualmente impiegati nelle lavorazioni tessili appartiene alla classe delle idrolasi (amilasi, proteasi, lipasi, cellulasi, pectinasi, cutinasi, ecc.). Recentemente si sta però diffondendo l’impiego di altri enzimi come quelli appartenenti alla classe delle ossidoreduttasi, come la catalasi, la laccasi, la perossidasi, o a quella delle transferasi come la transglutaminasi. Passiamo ora in rassegna i principali enzimi usati in ambito tessile e le loro caratteristiche applicative.
Amilasi: vengono impiegate nel processo di sbozzima dei tessuti di cotone. La bozzima è una sostanza applicata al filato di ordito prima della tessitura per rinforzarlo e renderlo resistente alle sollecitazioni meccaniche della tessitura (evitare le rotture a telaio); deve essere eliminata prima delle operazioni di tintura e finissaggio; è composta da amido e suoi derivati (basso costo) e può contenere altri componenti (PVA, PVP, ecc.). La rimozione enzimatica delle bozzima viene eseguita con α-amilasi, seguita da lavaggio dei prodotti di degradazione dell’amido; l’amilasi idrolizza l’amido producendo destrine, che sono solubili in acqua e facilmente eliminabili con un lavaggio. Si tratta di un processo alternativo al trattamento chimico a base di agenti ossidanti e/o acidi forti (non più usato). Le α-amilasi naturali hanno un pH ottimale di 5-7, sono attive fino alla temperatura di circa 65°C e utilizzano ioni Ca2+ come cofattore. Le amilasi ricombinanti, le più utilizzate per la sbozzima, sono attive a temperature >100°C, in un spettro di pH molto più ampio e hanno una minor dipendenza da Ca2+ (sono quindi attive anche in presenza di sequestranti).
Cellulasi: sono usate soprattutto per lo stone washing enzimatico dei tessuti e capi Denim e per il biopolishing e biofinishing di tessuti e capi in fibre cellulosiche. Le cellulasi naturali sono enzimi prodotti da microorganismi e piante. In natura hanno la funzione di degradare la cellulosa fino a glucosio (ciclo del carbonio). Sono presenti come complessi enzimatici composti da una moltitudine di componenti attivi (6-7 enzimi) che agiscono in modo sinergico per degradare completamente la cellulosa. Le cellulasi sono suddivise in due maggiori categorie: Endoglucanasi (EG) e Cellobioidrolasi (CBH) che differiscono per la struttura del sito attivo. Sono dotate di un “Cellulose Binding Domain†(CBD), che lega l’enzima al substrato cellulosico ma non idrolizza la cellulosa (conferisce all’enzima affinità per la cellulosa), di una sequenza di collegamento (“Linkerâ€) e del vero e proprio sito attivo, il “Catalytic Domain†(CD) che idrolizza la cellulosa. In natura un tipico complesso cellulosico è composto da almeno 6-7 attività enzimatiche: 2 eso-cellulasi (CBH), 3-4 endocellulasi (EG) ed 1 beta-glucosidasi (BG). Quelle usate nelle applicazioni tessili sono prodotte per fermentazione da microorganismi non patogeni geneticamente modificati (batteri, funghi) e possono essere monocomponenti (cioè contenere un solo tipo di attività enzimatica, ad esempio EG) o multicomponenti, con diverse proporzioni delle varie attività enzimatiche ottimizzate per il processo in cui sono impiegate. Dal punto di vista commerciale si distinguono in: cellulasi “acide†e “neutreâ€. Le cellulasi acide hanno un pH ottimale di 4.5-5.5, sono più aggressive nei confronti della cellulosa, se usate nello stone washing enzimatico possono dare il difetto del backstaining (riduzione del contrasto) e portare ad una eccessiva riduzione delle proprietà meccaniche. Le cellulasi neutre hanno un pH ottimale 6.5, sono poco aggressive nei confronti della cellulosa e nello stone washing portano ad una riduzione del difetto di backstaining (miglior effetto di contrasto).
Confrontando lo stone washing tradizionale (con pietra pomice) e quello enzimatico sono evidenti diversi vantaggi quali: riduzione dei tempi di lavorazione, alta flessibilità del processo e miglior riproducibilità , riduzione dei danni alle macchine, miglior produttività (elevato carico macchina), riduzione dei danneggiamenti dei capi causati dalla pomice, eliminazione della polvere di pomice (miglioramento delle condizioni e dell’ambiente di lavoro), minor impatto ambientale, minori costi ambientali (-20-25%).
Un altro campo di impiego delle cellulasi è quello del bruciapelo enzimatico, che consiste nella rimozione delle fibrille che sporgono dalla superficie dei tessuti mediante azione combinata di enzimi (cellulasi) e trattamento meccanico. I vantaggi del bruciapelo enzimatico sono numerosi: elimina il cotone morto o immaturo, i neps e le fibrille superficiali,
permette di ottenere una mano più morbida, di migliorare il drappeggio e il comfort, previene definitivamente la formazione di pilling, migliora l’idrofilia (capacità di assorbire acqua) specialmente per spugne e biancheria da bagno, produce un ottimo grado di pulizia superficiale e permette tinte più brillanti ed omogenee, consente di creare effetti di finissaggio originali, è un processo ecocompatibile.
È necessario che l’azione enzimatica sia accompagnata da una forte azione meccanica per la rimozione efficace delle fibrille. Nel biopolishing si usano preferibilmente le cellulasi acide.
Pectinasi: sono utilizzate per la purga enzimatica del cotone. Il cotone contiene circa il 90% di cellulosa e circa il 10% di sostanze non cellulosiche che sono soprattutto localizzate nella cuticola e nella parete primaria della fibra. Lo strato più esterno della fibra è la cuticola, un film costituito da grassi e cere. La parete primaria contiene materiale non cellulosico (soprattutto pectine, emicellulose, glicoproteine) e cellulosa amorfa. Le pectine sono polisaccaridi acidi molto diffusi nella frutta, nelle fibre e nei vegetali in
genere: contribuiscono a mantenere stabile la struttura fibrosa della fibra di cotone; agiscono come materiale cementante per la parte cellulosica della parete primaria; hanno funzione idratante e controllano gli scambi di acqua e fluidi tra interno ed esterno. Le
pectine sono il vero materiale cementante della parete primaria delle fibre di cotone. La degradazione delle pectine permette di destabilizzare e rimuovere tutti gli altri componenti non cellulosici e di conferire alle fibre di cotone il necessario grado di idrofilia per essere poi tinte e finite. La degradazione delle pectine può avvenire per via enzimatica usando enzimi specifici denominati pectinasi. Possono essere di tipo acido o alcalino. Queste ultime si sono finora dimostrate molto più efficaci quando impiegate in ambito industriale. Inoltre, l’accoppiamento delle pectinasi con altri enzimi come le cutinasi (in grado di degradare altri componenti della cuticola come la cutina e la suberina), si è dimostrato particolarmente efficace grazie all’azione sinergica che può essere sviluppata nei confronti delle diverse componenti della cuticola e della parete primaria. Adottando quindi un approccio razionale alla purga enzimatica del cotone che tenga conto della complessità delsubstrato fibroso (struttura della fibra di cotone), della specificità di azione degli enzimi e degli aspetti legati ai trasferimenti di massa durante il processo è così possibile sfruttare al meglio la specificità dei singoli enzimi per ottenere risultati positivi in termini di qualità dei substrati tessili e sostenibilità complessiva del processo di purga.
Proteasi: possono essere impiegate nel trattamento delle fibre proteiche (lana, seta). Vi è in natura una grande varietà di proteasi con differenti optimum di pH e diverse specificità . Le più comuni proteasi agiscono a pH neutro-alcalino o fortemente alcalino, ma esistono proteasi con optimum di pH acido.
Le più recenti proteasi biotecnologiche sono di origine microbica e sono prodotte per fermentazione.
Hanno un’alta efficienza catalitica anche in condizioni moderatamente ossidanti. Con alcune proteasi selezionate e studiando bene le condizioni applicative, è possibile ottenere su lana (top, filato, maglia, tessuto) i seguenti effetti: modifiche di mano, antipilling e “pulitura superficaleâ€, look invecchiato (tipo stone washing), miglioramento del candeggio, un effetto adiuvante nella depigmentazione e un modesto effetto antifeltrante. Le applicazioni più note su seta riguardano l’impiego di proteasi alcaline per la sgommatura dei filati e tessuti di seta e il finissaggio (modifiche di mano) di tessuti e capi di seta oppure in mista con fibre cellulosiche e/o sintetiche. Le indicazioni d’uso possono essere così riassunte: pH fra 7.5 e 10, temperatura fra 30°C e 55°C, tempi da 30 a 60 min, dosaggi fra 1% e 5%. Sono indispensabili prove preliminari per stabilire condizioni d’uso ed effetti ottenibili. Relativamente alle proteasi per lana, di solito si impiegano quelle di tipo acido-neutro per scopi quali la modifica della mano e un effetto anti-pilling. Le condizioni di impiego tipiche sono: pH fra 3 e 6, temperatura fra 30°C e 50°C, tempi da 30 a 60 min, dosaggi fra 0.1 e 2.0%. Anche in questo caso sono indispensabili prove preliminari per stabilire condizioni d’uso e gli effetti ottenibili.
Catalasi: impiegate per l’eliminazione dell’acqua ossigenata (H2O2) dopo candeggio. La presenza di acqua ossigenata residua può infatti creare problemi in fase di tintura (ossidazione del colorante). Il metodo chimico convenzionale prevede lavaggi con abbondante acqua in presenza di agenti riducenti (Na2S2O3) o catalizzatori metallici (sali di Mn2+). Il processo enzimatico comporta invece la decomposizione enzimatica dell’acqua ossigenata con catalasi. I principali vantaggi del processo enzimatico sono: riduzione dei tempi di trattamento (-33%), risparmio di acqua (-50%), energia (-24%) e prodotti chimici (-83%), è inoltre possibile riciclare l’acqua di sbianca per la tintura (dopo aggiustamento del pH) senza causare danneggiamenti ai tessuti e ai coloranti e non genera prodotti di reazione pericolosi o inquinanti.
Laccasi: sono polifenolo ossidasi prodotte da vari microorganismi e piante che catalizzano l’ossidazione di ossidrili fenolici ed aromatici, con riduzione di ossigeno atmosferico ad acqua. La reazione di ossidazione catalizzata dalla laccasi è basata sulla differenza
di potenziale ossidoriduttivo tra l’enzima e il substrato. Le laccasi sono enzimi molto versatili che trovano applicazione in diversi settori industriali: cartario, detergenza, trattamento reflui, cosmetica (colorazione dei capelli). L’ossidazione del colorante indaco con laccasi è una delle applicazioni di questo enzima che si stanno imponendo a livello industriale.
Applicata sui capi Denim è possibile effettuare la decolorazione più o meno spinta dell’indaco dopo stone washing enzimatico con cellulasi. La decolorazione viene tradizionalmente eseguita utilizzando l’ipoclorito di sodio. Si tratta di un processo economico ed efficace, non facile da controllare (cuciture, danni al cotone), che però è responsabile del successivo ingiallimento dei capi. Inoltre l’uso dell’ipoclorito di sodio crea diversi inconvenienti ed esiste una forte spinta per la sua eliminazione (produce AOX). Una tipica applicazione enzimatica prevede: un ciclo post stone washing con laccasi a pH4.5-5.0, alla temperatura di 60-70°C, per un tempo di 15-20 min. Il trattamento può essere singolo o ripetuto.
I principali vantaggi sono: mantenimento delle proprietà meccaniche, riduzione dei tempi di processo, miglior controllo del processo, minor consumo di acqua, ridotto impatto ambientale.
Recentemente è stata dimostrata l’efficacia di alcuni enzimi (lipasi e cutinasi) nel promuovere l’idrolisi superficiale di fibre sintetiche quali il poliestere, aumentandone il grado di idrofilia e favorendo i successivi processi di finissaggio. Gli enzimi attualmente disponibili sono pochi e le loro caratteristiche applicative sono ancora da migliorare perché possano aspirare a soppiantare i trattamenti chimici tradizionali.
Si tratta però di un settore in grande fermento e nel quale sono impegnati diversi gruppi di ricerca.
Considerando l’importanza del poliestere come fibra tessile, sia in termini quantitativi che di valore, lo sviluppo di enzimi in grado di agire efficacemente su questo tipo di fibra rappresenta un obiettivo di mercato molto interessante e permetterebbe alle biotecnologie di penetrare in un settore finora considerato fuori da ogni possibilità di sfruttamento.
Molti trattamenti enzimatici sono compatibili con altri tipi di trattamenti e possono essere eseguiti contemporaneamente in modo da ottimizzare tempi e costi. Inoltre va sottolineato che per l’esecuzione di trattamenti enzimatici è possibile utilizzare le stesse attrezzature già installate nelle aziende tessili, e non sono richiesti investimenti in nuovi impianti dedicati.
I principali vantaggi legati alla implementazione di processi biocatalitici nelle lavorazioni tessili sono riassunti nella Tabella 3.
Conclusioni
Uno dei principali aspetti che rende vantaggioso l’impiego degli enzimi nei processi tessili è la loro elevata specificità di azione, grazie alla quale essi reagiscono solo con i substrati per i quali hanno affinità .
A seconda della composizione dei materiali tessili e a seconda dei prodotti finiti che si vogliono ottenere, è possibile selezionare gli enzimi da impiegare.
Le sostanze chimiche tradizionalmente impiegate nel tessile possono essere molto reattive nei confronti delle fibre ma agiscono spesso in modo non selettivo sul substrato. Pertanto esse aggrediscono indifferentemente tutta la massa delle fibre con cui vengono in contatto, indipendentemente dalla sua composizione.
Questo può causare un indebolimento irreversibile della fibra alterando negativamente le sue proprietà fisiche e meccaniche. Per evitare questi effetti negativi gli agenti chimici possono spesso essere sostituiti da formulazioni enzimatiche opportunamente
predisposte per attaccare alcune parti delle fibre lasciando inalterate altre.
In conclusione, l’applicazione delle biotecnologie consente di sviluppare nuovi processi industriali ecocompatibili basati su bassi consumi energetici e su fonti di materie prime rinnovabili, e caratterizzati da elevata specificità e stereoselettività . I recenti sviluppi nel campo delle biotecnologie hanno messo a disposizione dell’industria tessile una nuova categoria di ausiliari, gli enzimi, con caratteristiche e prestazioni sempre più ottimizzate per poter far fronte a varie esigenze applicative. Diversi sono i vantaggi derivanti dalla sostituzione dei tradizionali ausiliari chimici con gli enzimi: i processi di tipo enzimatico in genere si svolgono in condizioni più blande di temperatura (30-70°C), pH (4.5-9) e pressione. L’utilizzo degli enzimi può quindi contribuire a realizzare consistenti risparmi in termini di energia e prodotti chimici. Inoltre, le regolamentazioni sempre più rigide in materia di protezione ambientale renderanno necessaria la sostituzione
dei tradizionali processi ad elevato impatto ambientale con altri più ecocompatibili. I processi enzimatici godono di questa prerogativa e possono essere considerati i candidati ideali per ridurre l’impatto ambientale delle lavorazioni tessili in quanto non generano residui o prodotti secondari tossici e dannosi per l’ambiente.