Dopo 28 anni di viaggi di lavoro in terra Brasiliana – e sono arrivato al numero di un centinaio – credo di essere in grado di dare un piccolo contributo alla miglior conoscenza di un paese che in molti hanno vissuto da turisti o sdraiati sulle meravigliose spiagge della sua costa, ma che in pochi conoscono davvero.
In questi oltre cinque lustri ho visto di tutto. Vi racconterò di periodi di inflazione pazzesca, per noi italiani impensabili, seguiti da periodi di crescita economica a doppia cifra, paragonabile a quella del miracolo cinese.
Queste differenze hanno creato situazioni economiche in cui la forchetta tra lo stile di vita del popolino, della medio-alta borghesia e dei ricchi si è molto allargata se non in termini di pura differenza in termini di alte percentuali di crescita della piccola borghesia.
Ciò ha creato stili di vita molto differenti a seconda del ceto sociale in cui si è inseriti.
Attualmente la situazione economica è molto buona, ma tutto quel che luccica non sempre è oro! In definitiva il grosso gruppo della piccola borghesia sta vivendo molto spesso al disopra delle proprie possibilità e potrebbe accadere che un rallentamento della crescita industriale – se non addirittura una decrescita – porti il paese, ripresosi brillantemente dalla crisi del 2009, su di una china pericolosa con milioni di persone insolventi con le banche e con un crac di grosse proporzioni del sistema bancario al livello di quello registrato negli USA e dal quale solo lentamente si stanno riprendendo. Tenterò di dare un’idea delle differenze con Italia ed Europa con una disanima della situazione attuale.
Come per tutti gli stereotipi relativi a molti paesi – e noi italiani siamo tra i più bersagliati in termini di pizza, mafia e mandolino – è grande la loro influenza sul pensiero di coloro che non hanno nessun interesse ad entrare profondamente nella realtà di un paese: questo vale anche per il Brasile che soffre del fatto che lo si associ al godereccio e festoso periodo carnascialesco. Il paese è veramente molto “colorito†con un coacervo di razze che convivono senza grossi problemi. Dagli Indios, i soli brasiliani di diritto, ai portoghesi conquistatori, agli schiavi importati a centinaia di migliaia dall’Africa, agli emigrati italiani, ai fuggitivi tedeschi del terzo Reich, ai giapponesi che alla fine del diciannovesino secolo vennero in massa a coltivare il riso, c’è veramente di tutto. E se pensate che lentamente c’è stata l’integrazione fra queste differenti razze potete capire che pot-pourry di incroci circolino per quelle bande. Sembrerebbe un sistema in cui il razzismo sia una parola sconosciuta, ma in realtà così non è. Mulatti, indios e neri sono parzialmente discriminati:
essi costituiscono il grosso delle fasce sociali più povere e i ricchi bianchi li guardano con una certa spocchia che, pur ben lungi dai climi di apartheid sud-africana, dimostra che la vera eguaglianza è comunque qualcosa ancora lungi dall’essere raggiunta.
I brasiliani sono un popolo allegro che ama divertirsi e che è capace in molti casi di vivere alla giornata.
Come racconterò poi, ai livelli sociali più bassi il vivere alla giornata fa proprio parte della mentalità di quel popolo che sfrutta molto il fatto che l’aiutarsi tra di loro permette di superare momenti molto difficili della loro vita, sempre sull’orlo del collasso economico ma capace di restarci per tempi infiniti. Un poco come al tempo dell’Albero degli Zoccoli.
È un’allegria che viene dal profondo e il samba è la manifestazione più emblematica di tale allegria.
Totalmente differente dalla malinconia dell’Argentina bene espressa dalle note del tango.
Dopo questa introduzione chiarificatrice posso dire che avevo proposto al CD dell’Associazione un articolo sulla situazione reale del Brasile, un paese che negli ultimi anni ha mostrato una condizione economica decisamente migliore di molti paesi del cosiddetto “mondo occidentale†e un tasso di sviluppo quasi al passo con quello della sorprendente realtà cinese. Evidentemente l’argomento è sembrato interessante se state ora per leggerlo.
Come ho detto nell’introduzione, grazie al mio lavoro di consulente, ogni due o tre mesi passo tre settimane in quel paese e lo faccio da 28 anni. Ho visto veramente di tutto!
La grande inflazione
Nella seconda metà degli anni ’80 momenti di totale sconforto con inflazioni che viaggiavano al ritmo di oltre 1000% l’anno – toccando il massimo di 2477% nel 1993 – con la gente che non teneva in tasca che pochissimi spiccioli che si svalutavano giorno per giorno.
La gente utilizzava quasi esclusivamente libretti degli assegni con i quali pagava tutto, persino riso e fagioli che è il loro pane quotidiano. Le banche davano interessi sopra al 30% al mese, che se anche potevano sembrare interessi superiori all’inflazione ufficiale non lo erano di certo a quella reale.
In quel periodo facevo due viaggi l’anno e per ben quattro volte in otto anni mi sono visto cambiare la carta moneta e ogni volta il salto era di 1000 volte: sembrava che lo stato rendendosi conto che per pagare qualcosa si doveva viaggiare con pacchi di soldi capiva che era ora di cambiare carta moneta.
Così nel 1986, 1000 Cruzeiros passarono a 1 Cruzado con lo stesso valore; nel 1989 1000 Cruzados divennero 1 Cruzado Novo e, passati un po’ di mesi, nel 1990, tornò in campo il Cruzeiro senza nessuna svalutazione. La situazione si sistemò dopo i primi anni della decade ’90: nel 1993 entrò in funzione il Cruzeiro Real che valeva 1000 Cruzeiro; nel 1994, finalmente entro il Real, che valeva 2750 Cruzeiros Real; quest’ultimo fu legato al dollaro USA e finalmente la situazione inflazionistica si calmò avvicinandosi a quella dei paesi occidentali.
Stessa mossa fece l’Argentina che legò l’Astral al Dollaro.
In Argentina si pagava indifferentemente in Dollari o Astral. Una mossa che vollero mantenere tenacemente e che costò loro una disfatta economica totale e il caso dei bond argentini è caduto sulla testa anche di molti italiani alla ricerca di investimenti ad alto rendimento.
In Brasile furono più cauti. Dopo poco tempo dall’entrata in vigore del Real, il suo valore passò rapidamente dalla parità con il dollaro a 0.89, diventando più forte dello stesso dollaro. Ma non era facile mantenerlo a questo livello e nemmeno conveniente perché le esportazioni divennero impossibili. Nonostante gli sforzi fatti dalla Banca Centrale, lentamente il Real arrivò a 1.2 Reais/$ e a questo punto il governo decise di liberalizzare il cambio. Io mi trovavo lì proprio quando presero quella decisione e vi assicuro che in pochissimi giorni da 1.2 salì a 2.2 e alla radio e alla televisione i comunicati sembravano bollettini di guerra. Ogni ora il tasso di cambio con il dollaro saliva di qualche punto.
Dal 2.2 in poi la salita fu lenta ma inesorabile anche se ci vollero anni perché arrivasse a superare di qualche punto quota 3 toccando un massimo. Però l’inflazione era rientrata a valori quasi “europei†e l’economia stava viaggiando molto bene.Iniziò questa rimonta sotto il presidente Fernando Enrique Cardoso, che fu al governo del paese per due mandati, dal 1995 al 2003: per contro s’incrementò il debito estero fino alla spaventosa cifra di 215 miliardi di dollari.
La rapida ripresa economica
Il suo successore fu Luiz Inácio da Silva detto Lula.
Lula in portoghese significa calamaro, ma in effetti era il soprannome con cui era chiamato da bambino e derivava dal fatto che in Brasile è molto comune abbreviare il nome dei bambini ripetendo due volte le prime due lettere del nome (il mio nome diventerebbe Rorò) e perciò nel suo caso sarebbe stato Lulù, per ovvi motivi (in Brasile è un nome che si dà ai cani) trasformato in Lula. I soprannomi – che la si chiamano “apelidos†– sono usatissimi in Brasile (chi di noi non ricorda Pelè, Pepè, Didì, Vavà e ai nostri giorni Kakà !?)
e Lula volle aggiungerlo ufficialmente al suo nome legale per potersi presentare alle elezioni presidenziali con quel nome (nei manifesti elettorali non si possono usare “apelidos†che non siano stati legalizzati), il solo per il quale era conosciuto tra il popolino.
Lula veniva da un’infanzia povera e da una famiglia pernambucana di bassissima cultura tanto che la sua primaria istruzione arrivò alla quarta elementare.
Arrivò nello Stato di San Paolo a 7 anni, nel 1952, per raggiungere, insieme a madre e altri sette fratelli, il padre che lì si era trasferito poco dopo la nascita di Lula. Dall’età di 12 anni, facendo di tutto, cominciò a tentare di guadagnarsi la vita. A 14 entrò in fabbrica e contemporaneamente completò – nelle scuole serali, come anche oggi fanno la maggior parte dei brasiliani – le scuole superiori.
A 19 anni entrò nel sindacato dei metalmeccanici dove ricoprì diversi incarichi, vieppiù importanti.
Contrastato dalla dittatura, la sua visione politica si spostò sempre più verso sinistra.
Nel 1978 fu eletto presidente del fortissimo sindacato dei Metalmeccanici nella zona cosiddetta dell’ABC, che sono le iniziali di tre comuni periferici di San Paolo dove l’industria automobilistica era, ed è ancora, assai sviluppata.
Nel 1980 ancora in piena dittatura militare, insieme ad alcuni intellettuali della sinistra, fondò il PT “Partido dos Trabalhadoresâ€.
Nel ’86 entrò come Deputato al Parlamento Brasiliano.
Entrò tre volte nel ballottaggio finale per le elezioni a Presidente ma le perse prima contro Collor epoi, per due volte, contro Fernando Henrique Cardoso. Durante il primo tentativo ci fu sempre una grossa campagna contro il PT da parte di imprenditori e banchieri che consideravano tale partito troppo sinistrorso. La televisione e la stampa fecero campagna contro di lui e a questo si aggiunsero alcuni brogli elettorali: famosa fu la sparizione dei voti di alcune sezioni di quartieri poveri dove il voto per Lula avrebbe dovuto essere sicuramente plebiscitario.
Nel 2002, contro il socialdemocratico Serra, finalmente venne eletto Presidente.
Negli ultimi anni Lula si era presentato in una veste assai più socialdemocratica e pertanto aveva conquistato molti voti anche nella classe media, una classe che, soprattutto nelle grandi città , era cresciuta assai in numero e in influenza.
Nonostante la continua sfiducia verso di lui nei settori economici di primaria importanza – sfiducia che si attenuò ma non del tutto nei due mandati da Presidente – Lula, grazie al lavoro anti-inflazione del suo predecessore e grazie al fatto di essersi circondato di ministri e consiglieri economici di spessore, riuscì a diminuire il debito estero a valori più accettabili.
Di conseguenza, nonostante le lamentele quotidiane del potentato economico, l’economia del paese si sviluppò in maniera tanto rapida quanto imprevedibile così da far entrare di diritto il Brasile tra le grandi potenze economiche mondiali. Tra gli aiuti a raggiungere questo primato non posso non citare la politica petrolifera della Petrobras (impresa privata ma con partecipazione statale maggioritaria) che con certosina pazienza bucò a più non posso i fondali al largo delle coste brasiliane fino a che l’oro nero non fu trovato: questo inaspettato atout aiutò immensamente gli sforzi economici che stava facendo il governo Lula.
Nella campagna del 2010, al termine del secondo mandato – e ultimo possibile – Lula appoggiò la candidatura di Dilma Roussef, una “barricadera†del periodo dittatoriale. Anche in questo caso il Gota economico cominciò a spaventarsi pensando a riforme populistiche che avrebbero potuto danneggiare le industrie del paese grazie a politiche salariali a favore delle classi meno abbienti e a possibili statalizzazioni delle industrie più strategiche.
Dilma ha preso possesso della Presidenza all’inizio del 2011 e già qualcuno dei “corvi†tra gli economisti si è reso conto che, come fu per Lula, la neo-presidente non è paragonabile al bolivariano Hugo Chavez, o all’indigeno boliviano Morales i due “dittatori eletti†di Venezuela e Bolivia. Dilma dopo la sua attività semiterroristica contro il governo militare si è rifatta una certa “verginità †in termini politici, collaborando molto con Lula nei suoi due mandati e quindi pareva logico pensare che avrebbe continuato una politica economica similare. Nonostante alcune dichiarazioni preoccupanti pre-voto, le prime mosse paiono sconcertare in positivo coloro che dubitavano, ma sarà solo il tempo che potrà farci giudicare la politica di questa nuova figura del panorama politico brasiliano.
Il superamento della crisi economica del 2009
Ma veniamo alle previsioni.
Tutti sappiamo quanto la crisi economica del 2009 abbia bastonato Stati Uniti ed Europa. Il Brasile sentì anch’esso un gran vento di recessione e la situazione parve difficile da gestire. Grazie però alle maggiori possibilità di manovra, rispetto all’Europa, in termini di ristrutturazioni aziendali – in parole povere grazie allapossibilità di licenziare senza troppi oneri da parte delle aziende – le ditte riuscirono prontamente a bilanciare la flessione del mercato con una riduzione rapida della produzione e conseguentemente dell’onere della manodopera che veniva rapidamente ridotta secondo le nuove minori esigenze produttive. In definitiva tutto questo si tradusse in pochissimi fallimenti aziendali e a una facile ripresa delle attività a pieno regime grazie alle poche remore degli industriali a dare impiego a quelli che, in caso di nuove contrazioni di mercato, si sarebbero potuti nuovamente licenziare. Per noi italiani questo potrebbe apparire cinismo industriale ma
con la globalizzazione in atto, alla fine, sembrerebbe l’arma concretamente più efficace.
Quello dei facili licenziamenti e quasi nessun ammortizzatore sociale, se aiuta l’industria ad ammortizzare periodi bui come quello del 2009, dall’altra crea molti
disoccupati. Questi ultimi potrebbero essere un problema ma con il mobile mercato del lavoro che esiste in Brasile un riassorbimento di questa manodopera è qualcosa di sicuramente più facile che qui in Italia. Mi ricordo che nei primi anni della mia consulenza brasiliana, quando l’inflazione era alta ma non aveva ancora raggiunto i massimi della fine degli anni ’80, entrando in fabbrica vedevo in portineria un certo numero di persone sedute su delle panche e pensavo fossero operai che aspettavano l’orario per entrare. Mi spiegarono
che la gente seduta lì era in attesa che qualcuno venisse licenziato e così li avrebbero chiamati per la sostituzione.
Può sembrare sciacallaggio ma era un modo pragmatico per avere qualche possibilità di lavoro. Con queste premesse potete capire perché la crisi in Brasile fu, paragonata con quella in USA e da noi in Europa, relativamente lieve e la ripresa abbastanza rapida.
Il 2010 dal punto di vista economico è andato molto bene e potremmo pensare ad aspettative anche maggiori per il futuro. Ma come sempre non tutto quello che luccica è oro!
I giornali economici sono d’accordo che la situazione potrebbe scappare di mano da un momento all’altro: vediamo di analizzare il perché.
Un futuro con molte incertezze
Il benessere incrementatosi negli ultimi tre lustri ha portato la classe media a livelli assolutamente comparabili ai nostri standard europei, almeno nei grandi centri urbani, e gli stipendi si sono incrementati quel tanto che basta a bilanciare, e in qualche caso superare, gli effetti inflazionistici che nel frattempo si erano abbassati a valori più che accettabili.
I salari minimi rimangono bassi mentre quelli medi salgono decisamente e quelli dei livelli dirigenziali ancor più, tanto da superare mediamente i nostri livelli italiani.
Fare dei confronti utilizzando semplicemente il valore del cambio è assolutamente inutile perché i costi della vita in Brasile sono bassi per gli alimenti basici ma quelli che salgono sono i costi generali. Poi c’è da considerare che i servizi che lo Stato dà alla popolazione sono di bassissimo livello sia per la sanità come per le scuole.
Se si guadagnano 800-1000 Reais al mese (col cambio attuale sarebbero circa 350-400 Euro) si può vivere accettabilmente se si utilizzano i pur scarsi servizi che lo Stato ti mette a disposizione nella scuola e negli ospedali pubblici: in questo caso è come guadagnare 1000-1200 Euro al mese da noi. Le medicine si pagano tutte e questo è un problema.
Se vuoi avere un servizio accettabile devi fare un Piano di Salute che ti costa parecchio anche ai minimi livelli; se vuoi una scuola decente devi andare alle scuole private che costano un patrimonio.
La classe medio-bassa – o bassa borghesia come dir si voglia – si è trovata sì ad avere più denaro ma gli oneri di un piano di salute familiare e quelli della scuola privata fanno sì che vivere con una certa sicurezza diventa necessario che entrino in casa più di 4000 Reais al mese che, in questo caso e con le suddette necessità di salute e di scuola non corrispondono a 3000-4000 Euro al mese ma a meno di 2500.
L’alta borghesia, che nelle grandi città è diventata una percentuale abbastanza consistente, è abituata a vivere bene e quindi gli oneri sono alti. Per farviun esempio un buon piano di salute può arrivare a 2000-2500 Reais al mese. Un’Università privata – che sono la maggior parte delle Università – può arrivare a costare anche 5000-10000 Reais al mese.
In una famiglia di persone assai abbienti di mia conoscenza il figlio maggiore frequenta la Bocconi di Milano mentre gli altri due sono in una scuola superiore privata in Brasile. Il padre si lamentava perché gli costava più ogni singola iscrizione alla scuola brasiliana che le tasse della Bocconi!!
I brasiliani della classe proletaria sono abituati a vivere da tempo alla giornata e anche nella miseria più grande riescono a barcamenarsi perché si adattano.
Quelli che stanno un poco meglio in quanto lo sviluppo economico ha aperto più possibilitÃ
cominciano a vivere decentemente ma contemporaneamente molti lo fanno al di sopra delle proprie possibilità . Nei supermercati la gente paga alla cassa “parceladoâ€, vale a dire a rate, anche la spesa del giorno e quasi tutti utilizzano carte di credito.
Essendo questo modo di pagare ormai entrato nel DNA dei brasiliani, tutto si paga a rate. Poi si accorgono che le rate quotidiane aggiunte al mutuo danno una cifra globale mensile superiore all’entrata familiare e qui cominciano i drammi.
Ai livelli dell’alta borghesia ovviamente i problemi sono minori ma la mania di grandezza diventa il punto debole. Gente che compra appartamenti di dimensioni pazzesche per vivere in 2-4 persone, con cameriera, balia per i piccoli e chi più ne ha più ne metta.
La fotografia degli aerei rappresenta uno dei tanti record della città di San Paolo dove i nuovi ricchi non si lasciano mancare nulla. C’è la maggior flotta di aerei privati che nel 2008 era arrivata a 830 superando New York. La maggior flotta di elicotteri privati al mondo. La maggior vendita di Ferrari. In un quartiere di San Paolo c’è un’officina che aggiusta solo Ferrari! La quarta maggior rivendita al mondo di Macerati, la seconda di Porche e la seconda di Lamborghini. Unica città dell’America Latina con un concessionario Rolls Bentley. In città circolano sei Bugatti Veyron e sono state ordinate 9 Pagani, ciascuna delle quali costa 1.7 milioni di Euro e te la consegnano su misura e personalizzata dopo sei mesi.
Il maggior acquirente di Yatches di lungo corso. L’unica città al mondo con 4 negozi Tiffany e tre Bulgari. Inoltre c’è la filiale Vitton che ha più entrate al mondo ed è San Paolo dove si vende il maggior numero di Mont Blanc al di fuori della Svizzera. Ottantamila paulistani hanno la seconda casa in Europa o negli USA. E potrei continuare con questa lista di paperoneschi record, ma penso di essermi spiegato a sufficienza.
Il pericolo della sindrome USA
In questo regno di Bengodi gli appartamenti delle grandi città costano sempre di più e per pagarli si vende il vecchio e si compra il nuovo accendendo un mutuo. I dirigenti industriali, a livello di direttori di funzione, per poter sostenere questa vita chiedono stipendi da favola: da 20000 a 50000 Reais al mese che sono 8000-22000 Euro/mese che, in teoria dovrebbero valere quasi 15000-40000 Euro da noi, ma in pratica la mania di grandezza dei brasiliani neo-ricchi li trasforma in stipendi appena sufficienti a mantenere il livello di lusso che si sono scelti.Anche considerando che le tasse sono in parte a carico del dipendente, si pensi che l’escamotage delle ditte per ridurre i costi è quello di assumere i dirigenti di alto livello a contratto come se fossero freelance.
Questi ultimi se la cavano pagando tasse che vanno dal 13 al 25% (confrontatele con le nostre tasse… non ci resta che piangere!!!) secondo lo stato del Brasile in cui vivono, e per la ditta quelle paghe sono un costo secco e definitivo. Fatta la legge…!
In questa situazione di vita al di sopra delle righe tutto è andato bene fino ad oggi ma i costi degli appartamenti sono saliti così tanto e quelli del personale dirigente delle ditte sono così elevati, che il pallone gonfiato potrebbe scoppiare da un momento all’altro.
Infatti, quando l’economia brasiliana invece di salire inizierà una leggera stasi o, addirittura, una lieve discesa ecco che le ditte ridurranno il personale e i dirigenti di grosso spessore saranno lasciati a casa per poter risparmiare.
Questo si tradurrà in molta disoccupazione e poiché quasi tutti sono impegnati con le banche con mutui e prestiti vari, ecco che la gente diventerebbe insolvente e il circuito bancario potrebbe saltare esattamente come è successo negli Stati Uniti. A questo punto ci sarà recessione e i prezzi degli appartamenti scenderanno in picchiata. Circolano voci che chi deve vendere appartamenti lo deve fare adesso perché fra un anno potrebbe non ricavarne nemmeno la metà del valore super-pompato attuale.
Non è per consolarci della nostra economia piuttosto malandata ma vedete che molte volte i giganti hanno piedi d’argilla e gli Stati Uniti lo hanno ampiamente dimostrato nella recente crisi economica. Per il Brasile che non ha dietro la forza economica degli USA la batosta potrebbe essere ancora maggiore.
Speriamo che le previsioni siano assai pessimistiche e che in realtà ciò non accada nella misura che si pensa, ma resta comunque il fatto che soprattutto le potenze cresciute rapidamente negli ultimi lustri sono le più esposte a possibili e più o meno inaspettati tracolli.
Chi troppo in alto sale… diceva un saggio proverbio dei tempi antichi e come tutti i proverbi d’antan sarebbe meglio tenerli in considerazione perché un fondo di ragione l’hanno sempre avuto.